domenica 31 luglio 2022

U fenùcchje marine

 U fenùcchje marine (finocchio marino) chiamato anche erba di San Pietro è una pianta molto comune nell'Arcipelago Ponziano cresce tra le rocce vicine al mare.

Il nome scientifico è Crithmun maritimun ed è una pianta ricca di vitamina C ed è anche un ottimo vermifugo.

Shakespeare lo nomina nel Re Lear. E il Durante nell'“Herbario nuovo” dice:
«Mangiasi il crithmo crudo, et cotto come l’altre’herbe de gli horti, et muove il corpo; et il seme bevuto con vino scaccia le ventosità, conforta lo stomacho, e le reni, et fa buon colore a quelli, che’l mangiano. Mangiasi crudo, e cotto come l’altre herbe de gli horti, et conservasi ancora in salamoia».







U fenùcchje marine
(Foto tratte dalla pagina Facebook "ERBE SELVATICHE D'ITALIA")

venerdì 29 luglio 2022

A manèse

 Nel dialetto ponzese  a manèse  significa sottomano, a portata di mano, vicino, nei pressi, un termine  che non conoscevo.

Ernesto Prudente a proposito così racconta:

" Questa espressione mi fa rivivere un aneddoto raccontatomi da Geppino, Geppino Vitiello, noto anche come Geppino dell'Ave Maria, dal nome di una sua nave. Geppino è stato una pietra miliare nella storia della marineria ponzese.

Una volta gli chiesi: "Secondo il tuo parere, chi è stato il migliore marinaio isolano?" Mi rispose, quasi immediatamente e senza esitazione: "Silverio di Scianghinètte", non perchè non vomitasse o avesse una forza erculea da poter fare di tutto e di più ma era quel marinaio a cui, in piena notte e in totale oscurità, tu chiedevi nu muscièlle e Silverio allungava la mano e te lo consegnava;  gli chiedevi la lanterna e Silverio apriva uno stipetto e ti dava la lanterna. In pieno temporale gli chiedevi la mazzetta (il grosso martello) per sfondare una tavola dalla opera morta per far defluire i cavalloni che inondavano continuamente la coperta e Silverio con due passi si recava dietro il tambuccio di poppa e ti dava la mazzetta. Ernesto, questi sono i veri marinai, quelli che nei momenti difficili ti risolvono, direi quasi con disinvoltura, i problemi."

(da "ALFAZETA" di Ernesto Prudente)



Geppino Vitiello dell'Ave Maria





Ponza com'era un tempo...

(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)

mercoledì 27 luglio 2022

L'isola di Palmarola raccontata da Luigi Sandolo

 Sfogliando "Vivere Ponza" una rivista culturale pubblicata verso la metà degli anni '80 mi sono imbattuta in "Auselèe e recuòrdete (ascolta e ricòrda)" una pagina in cui l'Avv. Luigi Sandolo racconta di una Palmarola molto diversa da com'è oggi.

Ecco cosa scrive Luigi Sandolo:

" Palmarole m'ha ccuotte ' core dicono i Ponzesi quando parlano di quest'Isola.  La ricordano con nostalgia perchè su di essa hanno trascorso delle ore liete sia frequentandola per gite che per lavoro.

Alla bellezza del paesaggio si unisce il silenzio interrotto dal grido rauco dei gabbiani che rassomiglia ad uno scroscio di riso.

Palmarola è il paradiso degli uomini che comprendono la grandezza di sentirsi soli in un angolo intatto dell'universo, scriveva Ettore Settanni, caprese, innamorato di queste isole. Il Settanni parlando di Palmarola la definiva l'Isola più bella del Tirreno.

Prima della seconda guerra mondiale vivevano in quest'Isola una decina di contadini che la lasciavano dopo la semina autunnale e vi ritornavano prima della fine dell'inverno per la potatura delle viti. 

Chi scrive con la sua Carla trascorreva con gli ospitali contadini un paio di settimane fra aprile e maggio vivendo in una grotta ricavata dalla roccia tufacea, la bentonite, che non trasuda umidità.

Palmarola era tutta verde con macchie gialle per la fioritura delle viti, delle leguminose, dei canneti, delle ginestre e dei ginepri.

La parte non coltivata che si estende boscosa per quasi tutta l'isola era vestita di fiori selvatici ed il loro profumo vi veniva portato dal vento salsedinoso.

I pescatori che sciorinavano le reti sulle spiagge del porto venivano a scambiare i loro prodotti con quelli della terra e della caccia che in primavera erano abbondanti.

Sui grezzi tavoli da pranzo non mancavano gli asparagi selvatici, i carciofi, i legumi freschi, quaglie, tortore, pesci di ogni qualità e grandezza, aragoste e granchi felloni. Il latte veniva fornito da alcune vacche che pascolavano con le pecore nella contrada Sopra 'a rotte 'e ll'acque, la parte coltivata dell'Isola che guarda Ponza. 

Le capre  si inerpicavano sulle sommità più aspre scacciando i gabbiani, che dall'autunno a primavera vi nidificano a migliaia.

Vivevano a Palmarola Lucrezia Scotti nata D'Arco, Michele Mazzella con il figlio Silverio, proprietario dell'unico fabbricato allora esistente e di buona parte del terreno e montagne, Civita Tagliamonte detta 'a centenere',  Giovannina Vitiello con il figlio Luigi Scotti produttore di uno dei migliori vini di Ponza, Maria Candida Aversano con il figlio Ciccillo Romano ed il genero Ciro Porzio, i nipoti Mattano ed  Amitrano, i fratelli Silverio ed Antonio Aversano, quest'ultimo detto 'u vaccare' , proprietario delle vacche sopra ricordate, con Arcangelo e Luigi, Aniello Aprea con i figli Baldassarre e Silverio e Benedetto Aprea.

Vi rimaneva per lunghi periodi per la coltivazione del terreno e per la caccia il fanalista Silverio Scotti con la moglie Olimpia Conte ed i figli Silverio e Luigi.

Allietavano il nostalgico narratore con la loro compagnia Fabrizio Mazzella, il cognato Totonno Mazzella, Domenico Aversano detto zì Mineche, i quali dopo aver tirato le reti, messe a pesca la sera prima, venivano a sparare qualche colpo alle quaglie ed alle tortore.

Il loro gozzo San Domenico, una delle rare barche ponzesi munita di motore, funzionava da traghetto fra le due isole.

Tutti gli abitanti di Palmarola erano fraternamente ospitali e fra essi si distingueva Maria Candida Aversano che sebbene fosse in ristrettezze economiche vivendo dei prodotti di quelle terre, era sempre generosa con chi si avventurava sull'erta grotta dell'Acqua ove era stato scavato ogni speco.

La specialità di zia Maria Candida erano la zuppa di cicerchie ed il gustoso vino rosso con cui ristorava gli affamati suoi ospiti, mentre i gabbiani sazi di quaglie e seppie dal loro eterno carosello stavano a guardare."


L'isola di Palmarola vista da Ponza

L'isola di Ponza vista da Palmarola



La spiaggia e il Faraglione di San Silverio


La spiaggia

I Faraglioni di Mezzogiorno

(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)

domenica 24 luglio 2022

Libero Magnoni e i velieri in disarmo a Santa Maria

 Il pittore Libero Magnoni nel 1956 realizzò un acquerello raffigurante i velieri in disarmo sulla spiaggia di Santa Maria, all'isola di Ponza,  e vedendoli ormai in quello stato, morenti, scrisse:

" Qui  il tempo sembra fermo. Come se il silenzio di svanite ere gravasse sulle pietre  di questa segreta spiaggia, dove da anni muoiono uno due tre, dieci velieri in disarmo.

Riarsi scafi con le prue alzate verso i campi, fasciami incerti, scrostati, picchiettati da stagioni impietose. Anni d'abbandono, di guerra, di scoramento, di paura hanno corroso alberature e murate. Tutto ormai è opera morta e tutte le manovre dormienti. Nessuna vela o pennone, bome e bompressi scheggiati, timoniere senza bussola e ruota, travi sconnesse, franate, occhi di cubia senza più ancora e catena.

Assente, ormai, la speranza, la memoria, la fede  che dettarono i bei nomi arabeschi a poppa: Maria Pace - Lucia madre - Vergine del Cielo.

Ma forse queste navi sono ancora vive. Perchè hanno un'anima, come la Nave di Argo che parlava con Giasone e i compagni. Forse, nelle notti stellate, le creature dormienti nelle polene si risvegliano, si distaccano dalle prore e fanno circolo sotto la luna rammentando  navigazioni e approdi, pescate, carichi, noli.  Rammentano le calme di vento, le traversie, le burrasche, gli ancoraggi di fortuna, gli scali nei porti tranquilli, le soste operose lungo moli e banchine. Forse sognano ancora di riprendere il mare - alla via così! - secondo il vento, veleggiando di bolina o al gran lasco.

E, se San Silverio aiuta, anche in fil di ruota."



Velieri in disarmo a Santa Maria, 1956, acquerello realizzato da Libero Magnoni

Ed ora un pò di foto di quei velieri sulla spiaggia di Santa Maria:








venerdì 22 luglio 2022

Arèteche

 Arèteche così viene chiamato in dialetto ponzese l'origano una pianta aromatica dal profumo intenso.

E' molto utilizzata nella cucina mediterranea.

Si raccoglie in mazzetti, si fa essiccare e si conserva in vasetti di vetro.

Arèteche dell'isola di Ponza è inebriante e Danilo Conte nel suo terreno ai Faraglioni ha già raccolto come dimostrano le foto





Arèteche ponzese

(Per gentile concessione di Danilo Conte)


Arèteche pronta per essere essiccata

(Immagine reperita in rete)




martedì 19 luglio 2022

Una bella Edicola Votiva

 All'isola di Ponza, su una parete della Banchina Di Fazio, accanto al negozio di nautica, c'è un'edicola votiva dedicata alla Madonna della Civita.

Quest'anno il quadro che c'era prima è stato sostituito con un bellissimo dipinto realizzato da Florentine Wallner (a tedesche d'a Ravia)

Ecco le foto:



  Il dipinto che raffigura la Madonna della Civita




Un altro dipinto della Madonna della Civita mentre veniva realizzato da Florentine Wallner...sotto si intravede l'isola di Ponza 



Il dipinto ancora in lavorazione


L'edicola votiva sulla Banchina Di Fazio

domenica 17 luglio 2022

Le angherie subite dai ponzesi nel periodo fascista

 Così racconta Mario Magri di questo brutto periodo:

"Anche i ponzesi non erano lasciati in pace. Minacce, perquisizioni ed angherie erano il pane quotidiano della popolazione che subiva a malincuore, ma aveva paura di protestare apertamente. Una sera un ragazzo di circa dieci anni che non si era fermato all'ordine di una sentinella, fu freddato da un colpo di fucile. I pescatori vedevano le loro reti strappate e la pesca disturbata dai "mas" che facevano servizio attorno all'isola. Una notte un milite cadde in un burrone e si ruppe l'osso del collo. Siccome era inverno e non si trovavano fiori in paese, i militi andarono al cimitero e devastarono una grande quantità di tombe per avere la possibilità di ricavare qualche grama corona. Quello fu un gesto che indignò in modo estremo tutta la popolazione religiosa ed attaccata al culto dei morti, ma nessun reclamo fu fatto per timore di rappresaglia da parte di quei malviventi." 

Scrive ancora Silverio Corvisieri:

" Il ragazzo di cui scrisse il Magri era il dodicenne Salvatore Scotti che fu ucciso il 20 settembre 1932 da una sentinella di guardia al Bagno Vecchio. Si racconta che il milite avesse ordinato al ragazzo di andargli a prendere dell'uva nella vigna del padre e, imbestialito per il rifiuto del piccolo Salvatore, gli sparò una fucilata. Il cadavere del piccolo fu portato immediatamente dai militi fascisti al cimitero; ai genitori fu impedito di vedere il corpo del ragazzo; essi  furono minacciosamente invitati a non presentare denuncia all'autorità giudiziaria. Il padre, Carlo Scotti, fu obbligato, cinque giorni dopo, a denunciare la morte del figlio per "cause naturali". Alcuni giorni dopo questo gravissimo episodio, sui muri dell'isola apparve la scritta: "chi tocca la milizia avrà del piombo" "

Chissà quante altre storie ci sono...








Il luogo in cui fu ucciso il giovane Salvatore Scotti. Si intravedono i  resti, forse, della garitta di guardia del milite


La stradina in mezzo alle vigne degli Scotti

venerdì 15 luglio 2022

La Luna piena di luglio

 La Luna piena di luglio che quest'anno è stata giorno 13 ha un fascino particolare.

I nativi americani la chiamavano Luna del Cervo perchè in questo periodo i cervi rinnovano i palchi delle corna.

E' chiamata anche Luna del Fieno o Luna del Tuono perchè si tagliava il fieno  ed iniziavano i temporali estivi.

Ma anche Luna del Raccolto perchè in questo periodo si raccoglievano le erbe aromatiche, la frutta e gli ortaggi che poi venivano posti in conserva per l'inverno.

Una Luna bellissima!!!









Luna piena all'isola di Ponza 
(Foto di Rossano Di Loreto di qualche anno fa)

mercoledì 13 luglio 2022

Storia di un confinato

 Qualche giorno fa mi ha scritto Peter Verc dicendomi che si trovava in vacanza a Ponza e voleva sapere se c'erano luoghi o monumenti in ricordo dei confinati.

Suo nonno Romano Pahor è stato internato a Ponza per ben due volte dal 1929 al 1932 e dal 1936 al 1937.

Si sposò a Le Forna facendo venire a Ponza la sua fidanzata, nonna di Peter.

Peter Verc ha appena pubblicato un libro su suo nonno in sloveno, sua madre lingua, in cui  "c'è tanta Ponza".

Ecco la storia di Romano Pahor raccontata da Peter:

"Si, mio nonno è stato condannato al confino nel 1928 ed è giunto sull'isola nel gennaio 1929. Siccome era il promotore di diversi circoli culturali e studenteschi sloveni a Trieste (il fascismo non tollerava organizzazioni non italiane) , è stato reputato "moralmente responsabile" dell'omicidio di un appartenente sloveno delle milizie fasciste presso Divaccia (ora Slovenia). Quell'omicidio fu commesso da un gruppo terrorista iugoslavo (Orjuna) che nulla aveva a che fare con l'attività perlopiù culturale di mio nonno e di chi, come lui, e un altro confinato a Ponza, Jože (Giuseppe) Dekleva, era a capo dell'Unione dei circoli giovanili sloveni. Lo scopo di questi circoli era conservare la lingua e la cultura slovena che la politica nazionalista fascista voleva cancellare. La prima volta mio nonno avrebbe dovuto rimanere a Ponza per 5 anni, ma ci fu l'amnistia in occasione del decimo anniversario della marcia su Roma. Il motivo della seconda condanna al confino, anche questa di 5 anni, è una storia per molti versi toccante. Nella notte di Natale del 1935, mio nonno organizzò un'azione capillare che consisteva nella distribuzione di pacchi regalo con libri di favole e filastrocche slovene per i bambini delle famiglie povere di Trieste e dintorni. Giunto a Ponza nel febbraio 1936 godette dell'amnistia in occasione dell'accordo di collaborazione tra Italia e Jugoslavia del 1937 (Ciano-Stojadinović). Non tornò più a Ponza, ma fu prima internato a Istonio Marina (oggi Vasto Marina) in Abruzzo nel 1940 e poi, a seguito di condanna, rinchiuso a San Gimignano dal 1941 al 1944. Ebbe poi vita breve (morì nel 1951), resa difficile anche dalle autorità jugoslave del dopoguerra."

A proposito del matrimonio  dei suoi nonni a Ponza  Peter scrive ancora:

"La cosa forse più singolare del suo "soggiorno" a Ponza (e più romanzesca) e che si è sposato nella chiesa di Le Forna il 18/2/1932. La sposa, mia nonna Angela Grmek, è venuta in treno da Trieste e ha dovuto attendere a Gaeta per ben due giorni causa un'insolita nevicata. Il matrimonio è stato celebrato la mattina presto, le indicazioni delle autorità era fare presto e senza che nessuno sappia. Tuttavia, mia nonna (che purtroppo non ho conosciuto) ha raccontato di aver avuto in dono da degli abitanti di Ponza - godeva della loro accoglienza - un spilla. Anni fa, purtroppo, è stata rubata a mia zia che la custodiva in casa."



Romano Pahor nel luogo in cui è stata scattata la foto negli anni di confino

domenica 10 luglio 2022

Un ricordo di Emiddio Cristo

 Qualche giorno fa è scomparso Emiddio Cristo, il figlio di Gaspare (il Principe dell'Isolotto) e sua nipote Silvia Pilia mi ha inviato un ricordo.

Eccolo:

"Mio nonno Emiddio Cristo, classe 1938, era l'ultimo dei quattro fratelli Cristo e l'unico di loro nato ad Arbatax e non a Ponza. 

Uomo, marito, padre, nonno e da qualche mese bisnonno che ha amato senza misura tutta la sua famiglia.

E' stato un grande lavoratore e ha affrontato il mare e le tempeste con coraggio, pazienza e speranza. Ha sposato la sua amata Peppina nel 1960 e dalla loro unione sono nati sei figli. 

Ciò che lo ha reso unico sono stati la sua allegria e ospitalità, casa sua era un via vai di amici e amici di amici che si fermavano a pranzo o a cena a gustare piatti di pesce preparati dalle sapienti mani di nonna Peppina. Era speciale e si distingueva per la sua sensibilità e generosità. Straordinariamente premuroso, affettuoso, disponibile sempre. per me è stato più di un padre e lo amo alla follia.

Per la comunità di Arbatax un uomo che ha contribuito a scrivere un pezzo di storia. Mancherà a tutti, ho visto la commozione negli occhi di ogni singola persona che è venuta a dargli l'ultimo saluto e, per questo, ho avuto conferma e un pochino di consolazione. 

Il bene che fai forse è vero che poi ti viene restituito."

Silvia Pilia


Emiddio Cristo da ragazzo al lavoro






Emiddio con la moglie Peppina da giovane



Emiddio e Peppina nel giorno delle loro nozze d'oro


Emiddio con la figlia Patrizia

venerdì 8 luglio 2022

Ancora Impressioni...di Gabriella Moriondo

 "...Il mare, internandosi nella terra, forma alla sinistra del porto, verso ponente varii seni: il primo appartiene ad una specie di borghetto Santantuono, il secondo Giancossa; indi viene la bella spiaggia del villaggio Santa Maria e più oltre Frontone, seminascosto da una scogliera sparsa vicino ad uno scoglio sporgente al cui piede immerso nelle acque vedi incavate tre piccole grotte, le quali prendone nome dallo stesso villaggio.

Sott'esse grotte vanno i bagnanti trasportati da leggere barchette, e trovano colà riparo contro gli sguardi dell'indiscreto, bella spiaggia per tuffarsi nell'acqua e difesa contro i raggi del sole. Quella di mezzo è la più comoda per altezza e vastità poichè vi si può introdurre la barca, mentre le altre due laterali, una delle quali rassomiglia alla Grotta Azzurra di Capri, sono più basse e ristrette..."


(Brano   tratto dal libro "Impressioni" di Gabriella Moriondo, una giovane maestra che giunse all'isola di Ponza dalla Brianza nell'ottobre del 1887. Sposò il notaio Giovanni Coppa che fu anche sindaco di Ponza. 

La maestra Gabriella era la madre del professor Ezio Coppa uno dei figli illustri della nostra isola. In qualità di medico aiutò i ponzesi  e fu anche Deputato dell'Assemblea costituente e della Camera.)



L'interno della Grotta azzurra (foto di Giovanni D'Atri)



Il porto di Ponza visto dalla Grotta Azzurra



La spiaggetta con una barchetta all'interno della Grotta



Il Villaggio di Santa Maria e le Grotte Azzurre


Gabriella Moriondo 



mercoledì 6 luglio 2022

Il piccolo angelo

 Piccolo angelo nel dialetto dell'isola di Ponza è detto "angiulillo" e tutti i ponzesi e quelli che amano e conoscono Ponza sanno che ci si riferisce ad un piccolo lepidottero. Vispo e velocissimo nel battere le ali mentre fa rifornimento di nettare dai fiori con la sua spirotromba.

Non più lungo di 5 cm. di apertura alare lo si vede volare nelle ore diurne e crepuscolari nei mesi caldi dell'anno.

A Ponza è un animale portafortuna e se entra in casa, cosa che fa spesso se ci sono le finestre aperte per abitudini di perlustrare nuovi territori, è segno benevolo di buon augurio. Porta fortuna, buone notizie e ospiti graditi, e mai i ponzesi lo scaccerebbero. Il nome scientifico dell'angiulillo è Macroglossum Stellatarum.

(Tratto dal libro di Silverio Mazzella "Racconti e leggende dell'isola dei pescatori")

Nota:

L'angiulillo si chiama Sfinge del Galio







L'angiulillo mentre succhia il nettare dai fiori

(Immagini reperite in rete)

domenica 3 luglio 2022

Il Principe dell'Isolotto

 Ne ho già scritto qualche mese fa del "Principe dell'Isolotto"  un ponzese che viveva in Sardegna, una storia molto affascinante.

Mi è giunto un bellissimo racconto scritto dalla nipote Patrizia Cristo in cui traspare tanto amore e ammirazione verso i propri nonni. Mi è stato inviato da Margherita Musella che ringrazio.

Ecco il racconto "Il Principe dell'Isolotto":

 " Mi hanno sempre affascinata ed appassionata i racconti di storie di famiglia, ma quella di nonno Casparro (Gaspare) vorrei farla conoscere a tutti.

Nei primi anni Cinquanta, egli decise di dare il comando della barca al suo figlio maggiore, Ciro (Zio Girotto), cosicchè lui potesse dedicarsi a fare altro.

Nonno Casparro è sempre stato curioso ed intraprendente e non era solo un pescatore, amava molto fare anche il contadino. La famiglia Mereu gli diede un gran pezzo di terreno da coltivare nella zona di San Gemiliano, dove c'erano tante barbabietole da zucchero ed ogni tipo di ortaggi e verdure. Egli era un pollice verde e tutto ciò che si proponeva di seminare, cresceva rigogliosamente. Parlava spesso di un desidero ricorrente: gli sarebbe piaciuto provare a coltivare qualcosa sull'Isolotto dell'Ogliastra. Quella gran donna di sua moglie, Nonna Marietta, accettò di buon grado l'idea del marito e fu così che presentarono una richiesta alla Capitaneria di Porto per poter diventare "I custodi dell'Isolotto".

Iniziò così una splendida avventura per i miei nonni, sempre accompagnati dal loro fedelissimo amico a quattro zampe, Lupo.

Tutte le mattine salivano a bordo della loro barca, direzione Isolotto, e provarono a coltivare ortaggi e legumi che mio nonno già da ragazzo, aveva provato a seminare nella sua isola natìa, Ponza.

Per chi non lo sapesse, l'Isolotto d'Ogliastra ha due "facciate", una che dà verso il promontorio di Arbatax e l'altra che si può ammirare da Santa Maria Navarrese. Si iniziò a coltivare nella prima parte; la terra era particolarmente dura e arida, loro però non si sconfortarono e continuarono a zappare. Con i sassi costruirono delle "terrazze" chiamate dai ponzesi "parracine". Fu così che iniziò la coltivazione di cipolle, aglio, piselli, lenticchie, ceci, patate e pomodori. In poco tempo ogni cosa seminata, cresceva prospera e lussureggiante e man mano che trascorreva il tempo, veniva aggiunto alla coltivazione, qualcos'altro.

Date anche le avversità meteorologiche, costruirono una "stanzetta" nella quale potersi riparare e poter riporre l'attrezzatura. Riuscirono a costruire un piccolo camino dove preparavano ottimi pranzi ed ospitavano parenti ed amici che volessero sostare all'Isolotto. Ho splendidi e preziosissimi ricordi di Pasquette felici, tutti insieme.

Per poter coltivare un così gran numero di ortaggi e legumi, era necessaria un'importante quantità d'acqua. Inizialmente bastò munirsi di qualche tanica che loro stessi portarono da casa, ma successivamente non fu più sufficiente. Il loro secondogenito, zio Peppino, andò in esplorazione sull'Isolotto, propose di utilizzare una sorta di pozzo naturale che era presente e che loro stessi adattarono e migliorarono per poter utilizzare l'acqua piovana presente  sull'isola. Dopo aver superato il problema "acqua", continuarono la coltivazione della terra anche nella parte di isola che si affaccia verso Santa Maria Navarrese. Lì fiorì: vite, grano, arachidi, ravanelli bianchi (arapest) e cicerchie, che in dialetto ponzese chiamavano "chicherch". Non soddisfatti, vollero provare a coltivare anche qualche pianta da frutta, e scelsero il fico poichè necessitava di poca acqua. Avevano bisogno anche di alcuni alberi per potersi riparare all'ombra, nelle caldissime giornate estive. Per far fronte anche a questa esigenza, mio Zio Salvatore e mio padre Emiddio, recuperarono alcuni pini dalla pineta che stava nascendo nello spazio adiacente alla Cartiera.

Oltre alla coltivazione di tutto ciò che avete appena letto, mio nonno decise di allevare i conigli. Pensava che non avessero bisogno di grandi cure e che "si allevavano da soli". Portò, quindi, sull'isola una coppia di conigli ed in breve tempo, si potevano ammirare più conigli che gabbiani.

Fu così che si compì il sogno di nonno Casparro, desiderio di una vita: ricreare una piccola Ponza sull'Isolotto d'Ogliastra e diventarne custode e "principe".

Spero vivamente che abbiate potuto godere di questo breve racconto. Che siate riusciti anche solo per un attimo, a visualizzare nei vostri pensieri, quello che ai miei occhi, è sempre stato "un piccolo giardino dell'Eden." 

Patrizia Cristo



Gaspare e Marietta

(La foto è tratta dal documentario "Di là dal fiume e tra gli alberi")




L'Isolotto d'Ogliastra

(Immagini reperite in rete)

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