Con il termine pàppece, in dialetto ponzese, viene chiamato il tonchio le cui larve mangiano i semi dei legumi e dei cereali bucando il loro interno.
Come sempre dobbiamo ringraziare il GRANDE Ernesto Prudente che ci ha tramandato attraverso i suoi libri il dialetto, le tradizioni, le storie dell'isola di Ponza. Credo che senza di lui il nostro patrimonio culturale sarebbe già disperso da tanto tempo.
Ma torniamo al termine pàppece...
Ernesto racconta che "...un alunno ne parlò ampiamente in un compito sull'economia del paese e sul lavoro del padre. Lo scolaro, ad un certo punto, sapendo che "pàppece" era termine dialettale, si rivolse al maestro chiedendogli come quello schifosissimo e ripugnante animaletto si chiamasse in italiano. Il maestro, ignaro della traduzione, senza farsi accorgere si rivolse al collega che stava nell'aula contigua. Anche qui ignoranza completa. Allora il maestro con una serie di perifrasi imbambolò l'alunno e gli fece scrivere "pàppece". I due insegnanti divulgarono la richiesta, dopo aver consultato tutti i libri di scienze a loro disposizione, enciclopedie comprese, tra queste la Treccani, ma nessuno in paese seppe dare la giusta risposta. Ognuno cacciava un eufemismo dal suo repertorio.
La cosa rimase a lungo lettera morta ma venne ridestata, come la principessa addormentata, da un involontario scartabellare. Il figlio del maestro a cui era stata chiesta la traduzione della parola dialettale, un bambino di sette anni, un pomeriggio sdraiato sul divano sfogliava uno dei volumi dell'enciclopedia Conoscere, per gli alunni della scuola elementare, era il sottotitolo. E così, a caso, gli capitò sotto gli occhi una pagina con baccelli di ogni specie, colorati in modo tale come se fossero reali. Il bambino più che leggere, perchè le parole scritte erano poche e le pagine erano piene di disegni e di foto. Guardò quei baccelli di ogni specie di legumi, c'erano anche i lupini, così ben colorati come erano ben colorati di nero quegli animaletti che cercavano di forare il legume. Il bambino,al secolo Paolo Scotti, ricordandosi della ricerca paterna, corse trafelato dalla mamma, pensando di aver scoperto la luna, mostrandole il contenuto della pagina della sua enciclopedia. La mamma, maestra anch'essa, dotata di intelligenza e di accentuato umorismo, guardò il figlio negli occhi dicendogli: " vai a trovare tuo padre (come se ogni cosa della vita: quella sbagliata o brutta è sempre paterna, il contrario appartiene alla mamma) e digli di venire a casa.
Totonno, che sembra quel monaco che canta e porta la croce, sto immaginando anche la reazione di Lola, femmina dotata di scheletro, rientra immediatamente, consulta il libro che gli dà motivo di allargare la ricerca. Forte dei dati acquisiti, si attacca al telefono per rendere edotto anche il collega, che di nome fa Ernesto, che si dà da fare nella sua più ricca biblioteca.
L'indomani due classi del plesso di Santa Maria trattarono l'argomento "Pàppece" come se fosse una lezione sul primo trapianto cardiaco."
Un vecchio proverbio ponzese a proposito del pàppece recita così:
Decètte u pàppece nfacce a fave: damme tièmpe ca te spertòse (disse il tonchio alla fava: dammi tempo che ti forerò)
L'isola di Ponza di tanto tempo fa
Le fave
I pàppece