Sfogliando "Vivere Ponza" una rivista culturale pubblicata verso la metà degli anni '80 mi sono imbattuta in "Auselèe e recuòrdete (ascolta e ricòrda)" una pagina in cui l'Avv. Luigi Sandolo racconta di una Palmarola molto diversa da com'è oggi.
Ecco cosa scrive Luigi Sandolo:
" Palmarole m'ha ccuotte ' core dicono i Ponzesi quando parlano di quest'Isola. La ricordano con nostalgia perchè su di essa hanno trascorso delle ore liete sia frequentandola per gite che per lavoro.
Alla bellezza del paesaggio si unisce il silenzio interrotto dal grido rauco dei gabbiani che rassomiglia ad uno scroscio di riso.
Palmarola è il paradiso degli uomini che comprendono la grandezza di sentirsi soli in un angolo intatto dell'universo, scriveva Ettore Settanni, caprese, innamorato di queste isole. Il Settanni parlando di Palmarola la definiva l'Isola più bella del Tirreno.
Prima della seconda guerra mondiale vivevano in quest'Isola una decina di contadini che la lasciavano dopo la semina autunnale e vi ritornavano prima della fine dell'inverno per la potatura delle viti.
Chi scrive con la sua Carla trascorreva con gli ospitali contadini un paio di settimane fra aprile e maggio vivendo in una grotta ricavata dalla roccia tufacea, la bentonite, che non trasuda umidità.
Palmarola era tutta verde con macchie gialle per la fioritura delle viti, delle leguminose, dei canneti, delle ginestre e dei ginepri.
La parte non coltivata che si estende boscosa per quasi tutta l'isola era vestita di fiori selvatici ed il loro profumo vi veniva portato dal vento salsedinoso.
I pescatori che sciorinavano le reti sulle spiagge del porto venivano a scambiare i loro prodotti con quelli della terra e della caccia che in primavera erano abbondanti.
Sui grezzi tavoli da pranzo non mancavano gli asparagi selvatici, i carciofi, i legumi freschi, quaglie, tortore, pesci di ogni qualità e grandezza, aragoste e granchi felloni. Il latte veniva fornito da alcune vacche che pascolavano con le pecore nella contrada Sopra 'a rotte 'e ll'acque, la parte coltivata dell'Isola che guarda Ponza.
Le capre si inerpicavano sulle sommità più aspre scacciando i gabbiani, che dall'autunno a primavera vi nidificano a migliaia.
Vivevano a Palmarola Lucrezia Scotti nata D'Arco, Michele Mazzella con il figlio Silverio, proprietario dell'unico fabbricato allora esistente e di buona parte del terreno e montagne, Civita Tagliamonte detta 'a centenere', Giovannina Vitiello con il figlio Luigi Scotti produttore di uno dei migliori vini di Ponza, Maria Candida Aversano con il figlio Ciccillo Romano ed il genero Ciro Porzio, i nipoti Mattano ed Amitrano, i fratelli Silverio ed Antonio Aversano, quest'ultimo detto 'u vaccare' , proprietario delle vacche sopra ricordate, con Arcangelo e Luigi, Aniello Aprea con i figli Baldassarre e Silverio e Benedetto Aprea.
Vi rimaneva per lunghi periodi per la coltivazione del terreno e per la caccia il fanalista Silverio Scotti con la moglie Olimpia Conte ed i figli Silverio e Luigi.
Allietavano il nostalgico narratore con la loro compagnia Fabrizio Mazzella, il cognato Totonno Mazzella, Domenico Aversano detto zì Mineche, i quali dopo aver tirato le reti, messe a pesca la sera prima, venivano a sparare qualche colpo alle quaglie ed alle tortore.
Il loro gozzo San Domenico, una delle rare barche ponzesi munita di motore, funzionava da traghetto fra le due isole.
Tutti gli abitanti di Palmarola erano fraternamente ospitali e fra essi si distingueva Maria Candida Aversano che sebbene fosse in ristrettezze economiche vivendo dei prodotti di quelle terre, era sempre generosa con chi si avventurava sull'erta grotta dell'Acqua ove era stato scavato ogni speco.
La specialità di zia Maria Candida erano la zuppa di cicerchie ed il gustoso vino rosso con cui ristorava gli affamati suoi ospiti, mentre i gabbiani sazi di quaglie e seppie dal loro eterno carosello stavano a guardare."
L'isola di Palmarola vista da Ponza
L'isola di Ponza vista da Palmarola
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