martedì 30 ottobre 2007

Arrivo con sorpresa

In un giorno di gennaio, nella nostra famiglia, composta già da tre figli, arrivarono due gemelle. Erano gli anni Sessanta, io avevo quasi cinque anni ma quel giorno non lo dimenticherò mai. Mia madre non sapeva di aspettare due gemelle, a quei tempi non c’era l’ecografia e si partoriva in casa.
Quella mattina, mentre mi preparavo per andare all’asilo (si chiamava così allora), mi madre mi disse: “Francesca, fai la brava, che oggi nascerà il fratellino o la sorellina”.
All’uscita da scuola io, insieme a mia sorella e mio fratello, andammo a casa di nonno Peppino. Ci preparò da mangiare una pasta in bianco con i capperi (credo), ed io schizzinosa com’ero non mangiai niente.
Verso sera tornammo a casa nostra e nel letto grande vicino a mia madre c’erano due fagottini.
Una, cicciotella, stava in una copertina rosa, l’altra, molto piccola, piangeva sempre ed era avvolta in una copertina verdina.
Mio fratello se ne uscì con un’esclamazione: “Ah! invece di una sono due!”. Capirai, era rimasto l’unico maschio in mezzo a quattro femmine.
Mio padre, invece, impazzì di gioia. Mise due fiocchi rosa alla finestra per annunciare questa nascita.
Per Ponza fu un evento!
Un parto gemellare in una piccola comunità non era cosa da poco!
Le gemelle, crescendo, facevano parecchie marachelle e poiché erano le ultime nate, erano chiamate in dialetto la “rattatura della mattera”.

domenica 28 ottobre 2007

Un ponzese a Santo Stefano

Più di quarant’anni fa, su una piccola isola delle Ponziane, Santo Stefano, esisteva un penitenziario a prova di fuga.
Molti nomi della storia italiana passarono per quel carcere come Luigi Settembrini, Sandro Pertini, Gaetano Bresci e tanti altri.
Fu progettato da Carpi, verso la fine del settecento ed era una struttura semicircolare, a ferro di cavallo con al centro la cappella esagonale.
Per diversi anni, fu cappellano di quel carcere, un ponzese, don Aniello Conte.
Finì sui giornali dell’epoca per aver fatto scarcerare una persona detenuta innocente. Don Aniello aveva raccolto la confessione di un detenuto che oltre ai suoi crimini aveva commesso un omicidio per il quale era stato accusato un’altra persona.
La persona innocente, per ironia della sorte, si trovava anche lui nel carcere di Santo Stefano.
Il cappellano, legato al segreto confessionale, non poteva rivelare la verità. Solo alla morte del colpevole, don Aniello svelò quel segreto.
A Ponza fecero il processo e l’innocente venne liberato.
Questo fatto di cronaca credo sia avvenuto negli anni cinquanta, purtroppo non ne so di più.
Finita la sua missione nel carcere di Santo Stefano, don Aniello si ritirò nella sua casa sui Conti, dove si spense nel luglio del 1961.
Il carcere fu chiuso definitivamente nel 1965.
Foto tratta dal libro di Gin Racheli

domenica 21 ottobre 2007

Il fascino di un’isola

È stare in mezzo al mare, lontani parecchie miglia dalla terraferma.
È ascoltare la risacca del mare, musica per le nostre orecchie.
È poter scrutare l’orizzonte immaginando altri lidi, oltre quella linea.
È la luce intensa che colpisce i nostri occhi in ogni momento della giornata.
È la brezza fresca che ristora il nostro corpo.
È andare con la barca in cale spettacolari e immergersi in fondali meravigliosi.
È percepire i profumi deliziosi della macchia mediterranea.
È la magia di un tramonto a Chiaia di Luna, cullati dalle onde del mare.
È osservare un cielo pieno di stelle, che ormai in continente è impossibile osservare.
È poter sognare…felici di esistere.

venerdì 12 ottobre 2007

I bambini di Ponza

L’isola è un posto tranquillo, ci si conosce un po’ tutti e i bambini possono girovagare nei vicoli in assoluta libertà. Acquisiscono un’autonomia che quelli del continente se la sognano…
Giocano a pallone sulla piazzetta investendo, a volte, qualche malcapitato di passaggio. Anni fa, verso sera, si sentivano le voci delle madri che chiamavano i loro figli per farli rientrare a casa. Oggi, invece, a quell’ora si sentono i trilli dei telefonini. Anche i bambini di Ponza sono diventati tecnologici!
La mia infanzia a Ponza è stata stupenda.
Ricordo ancora il mio primo giorno di scuola, l’emozione che provai nel varcare quel cancello. Avevo già frequentato la scuola dell’infanzia, che allora veniva chiamata asilo, dalle suore, ma in quel momento stavo diventando grande. Quel primo ottobre mi ero svegliata prestissimo con un’euforia tale che mia madre stentava a starmi dietro. La mia prima maestra si chiamava Margherita, era di vecchio stampo, piuttosto severa, e l’anno dopo andò in pensione. Negli anni successivi subentrò Iole, maestra fantastica che io adoravo. La mia classe era tutta al femminile, e in quarta o quinta elementare facevamo le gare di geografia con i maschi della classe parallela. Quello per noi era un punto di contatto con il modo maschile.
Ero una ragazzina abbastanza sveglia, gironzolavo tranquillamente, e se ne avevo voglia prendevo la “corriera” per andare ai “Conti” da mia nonna. Quando insegnava ho visto, a Ponza negli anni Ottanta, dei bambini che a cinque anni erano già indipendenti, andavano a scuola da soli. Ricordo Gioia, con la sua cartella in mano, fare la salita di via Roma, sembrava più grande dei suoi anni così la chiamavamo l’universitaria. Ma come non ricordare Raffaele, con le vertigini tra i capelli e la sua innata simpatia, era il primo che arrivava a scuola. Quest’estate l’ho rivisto, ha fermato la sua motoretta e con il suo sorriso disarmante mi ha salutata. Che piacere!
Ponza sembra un mondo a parte e forse lo è davvero, ma soprattutto c’è un libertà sconosciuta altrove.
Foto scuola dell'infanzia "Ciro Piro" negli anni sessanta

mercoledì 3 ottobre 2007

Feste di quartiere

A Ponza ci sono molte edicole votive dedicate alla Madonna, dove un tempo ci si radunava per pregare. Le edicole sacre testimoniano la cultura e la storia dell’isola. Erano luoghi di aggregazione che nei giorni della festa venivano addobbati dalle persone che abitavano in quella zona.
Ho un ricordo nitido della festa che si faceva il 16 luglio sulla scalinata che porta alle case del Giudicato, dove c’è un’edicola dedicata alla Madonna del Carmine. Sulla loggia venivano messe tante bandierine colorate per la gioia di noi bambini, e intorno all’edicola venivano sistemati dei vasi con fiori freschi. Nelle case le donne preparavano i dolci ed io ricordo con nostalgia le “nocchette” di nonna Olimpia.
In quella scalinata ormai non si festeggia più, dopo il crollo di una parte delle case avvenuto circa trent’anni fa, ma l’edicola votiva c’è ancora.
La Madonna del Carmine si festeggia sulla Parata, ma ormai in tono minore da quando è venuta a mancare Antonietta, la moglie di Tatore.
Lei ci teneva tanto a questa festa e nei giorni precedenti addobbava l’edicola, che è collocata nelle mura della sua abitazione.
Sulla Parata la sera si recita ancora il Santo Rosario e si cantano delle antiche canzoni dedicate alla Madonna, grazie anche alla voce melodiosa di Adele. Speriamo che non finisca anche questa festa!

Foto di un edicola sacra tratta dal libro “Ponza-l’immagine di un’isola” di Lemme-Morlacchi

La descrizione di un attimo

L’isola è stata rappresentata in tantissimi modi nel corso della storia: disegni, acquarelli, fotografie…
Tutte queste arti catturano istanti non più ripetibili, frammenti di vita che mai più si riproporranno. L’isola è in divenire: ogni momento non è mai uguale a se stesso, ogni foto dello stesso soggetto non è mai uguale a se stessa.
Il vento e il mare scolpiscono la roccia, la vegetazione riacquista i suoi spazi, la mano dell’uomo entra in azione. Ma soprattutto ogni immagine, disegnata o fotografata, è specchio dell’emozione suscitata nell’autore.
Suggestione data da paesaggi mozzafiato, dal mare cristallino, da volti solcati dall’esperienza e dalla salsedine.
Quanti hanno tentato di dare una propria interpretazione all’isola!
Il primo fu Mattej Pasquale nell’ottocento, un formiano, che stregato dalle isole ponziane fece una grande quantità di disegni, testimonianza di un passato ormai perduto. Sempre nell’ottocento, l’architetto ponzese Silverio Migliaccio fece il disegno in prospettiva di tutto il porto borbonico. Anche Pietro Mandruzzato ha disegnato alcuni sprazzi di vita isolana. C’è da annoverare l’artista romano Libero Magnoni, che per più di mezzo secolo ha frequentato l’isola. I suoi lavori sono prova di vero amore verso Ponza. La fotografa Lou Embo ha dato alle stampe un libro con fotografie meravigliose, con le isole lontane dall’assalto della stagione turistica. C’è anche Salvo Galano, ponzese. Anche lui si è dedicato alla Ponza fuori stagione, dando molto spazio alle persone, ai “personaggi” dell’isola, con una mostra fotografica nel 2002. Da non dimenticare Silverio Mazzella, anche lui ponzese, che con la sua libreria (e le sue foto) cerca di diffondere un po’ del sapere isolano.
Chissà quanti ne ho dimenticati, in questo breve e incompleto elenco.
Chissà di quanti non conoscerò mai il nome, ma ne potrò vedere le fotografie. Forse le immagini più importanti sono proprio quelle di cui non si conosce l’autore. Cartoline dal passato e dal presente: ritratti di famiglia, scene di vita quotidiana, scolaresche, foto di antiche processioni di San Silverio, battesimi, comunioni, matrimoni, mareggiate. Tutte raccolte negli album degli isolani o da appassionati. Sono queste le più vere testimonianze del passato. E del presente. Ogni foto raccolta, in un piccolo (e sempre più grande) archivio, è un pezzo in più per comporre una nuova immagine, una nuova idea dell’isola.
È un frammento in più per ricordare, per non dimenticare e per iniziare a immaginare un futuro migliore per questo angolo di paradiso.
Nella foto la spiaggia di S. Antonio nel 1952.
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