martedì 30 gennaio 2024

Una passeggiata per l'isola

 In questa foto di tanti anni fa vediamo ritratte un gruppo di persone che passeggiano all'isola di Ponza. 

Sulla sinistra Carlino Conte con sua moglie Lucia Vitiello e sulla destra le figlie Maria e Titina. L'altra coppia, al centro, credo siano la sorella di Lucia ed il marito.

Non riesco a capire il luogo, da notare l'eleganza di queste persone.

Credo che la foto sia stata scattata verso la fine degli anni '30 o inizi '40 considerando che Carlino Conte è scomparso nel marzo del 1945.

Attraverso le foto ricordiamo le persone che non ci sono più, le facciamo vivere nei ricordi.

Nota:

Carlino Conte era il fratello di mio nonno Salvatore. Era stato Maresciallo Maggiore dei Reali Carabinieri a cavallo



sabato 27 gennaio 2024

Un ponzese in campo di concentramento

 Questa storia è raccontata nel libro di Paolo Iannuccelli "Gente di Ponza". Non la conoscevo

Eccola:

"Il racconto di Luigi Pacifico, nato nel 1921, avviene nella sua bottega di ebanista, al porto di Ponza. Lì i Pacifico lavorano da quattro generazioni. Luigi è seduto su una sedia e guarda il figlio Giovanni tagliare il legno. 

"Lo Stato italiano non mi ha nemmeno voluto riconoscere la pensione di guerra - ci accoglie con questa frase -. Ho fatto domande, ho chiesto aiuto a tante persone ma non sono mai riuscito ad ottenerla. Ora sto sbrigando alcune pratiche per ottenere il risarcimento dai tedeschi" . Luigi, nel '41, si era imbarcato dal porto di Pola sul "Gorizia".

Pacifico fu catturato dai tedeschi a Spalato il 29 settembre del 1943. Fu portato subito nel campo di concentramento di Meppen, in Olanda. In quel posto rimase solo 10 giorni per essere poi trasferito nel campo di Rurgas, nelle vicinanze di Essen, in Germania.

"Vivevamo in baracche dove faceva caldo d'estate e tanto freddo d'inverno. Il lavoro durava 12 ore al giorno. Svolgevo mansioni di muratore o falegname, a seconda delle esigenze dei tedeschi. Ci pagavano con dei centesimi che potevano essere spesi solamente all'interno del campo. Potevamo comprare qualcosa da bere o da mangiare. Si lavorava sotto qualsiasi condizione atmosferica, pioggia o neve non contavano, dovevamo produrre per la Germania. Eravamo controllati a vista, spesso i manganelli facevano la loro apparizione".

Luigi Pacifico manteneva anche una corrispondenza co l'Italia, in particolare con il padre Salvatore. Un grande lavoro l'internato ponzese l'ha svolto all'interno dei bunker antiaerei creati dai tedeschi per difendersi dai bombardamenti degli alleati. 

" Abbiamo scavato tantissimi rifugi sotterranei, poi li abbiamo rivestiti di legno di pino. Tante ore di lavoro, anche quando la temperatura era -40 ed eravamo protetti solo da un cappotto. Tremavamo tutti ma sapevamo di non poterci ribellare. Dal punto di vista igienico eravamo molto controllati. I tedeschi facevano tutto per eliminare i pidocchi. Ogni tanto ci mandavano a raccogliere i cadaveri delle persone decedute in seguito ai bombardamenti, li prelevavamo e li portavamo in fosse comuni. In campo di concentramento, a Rurgas feci amicizia con un generale russo, preso prigioniero. Era un grande amico di Stalin, che ammirava come uomo di Stato e condottiero, non faceva che parlare bene del leader dell'Unione Sovietica. Non ho avuto più notizie di questo generale che aveva grande simpatia per me. Eravamo vicini di letto e ci scambiavamo grandi impressioni."

Nell'aprile del 1945 arrivarono gli americani, fummo liberati ma il rientro in patria fu ritardato. Luigi rimase in Germania altri nove mesi: "Gli americani mi offersero un posto di lavoro come guardiano alle autostrade: pochissimi soldi, solamente qualcosa da mangiare per passare meglio la giornata.  A fine '45 l'atteso ritorno a Ponza accolto da tutta la famiglia festante.

"Quando fui di nuovo a Ponza - dice Luigi - le mie condizioni di salute non erano brillanti. Fui colpito da una bronchite cronica. Il fisico era tutta una ferita. Feci immediatamente domanda per ottenere una pensione che ancora aspetto."

Nel dopoguerra la famiglia Pacifico ha mantenuto il laboratorio di ebanista, ma Luigi, prima di continuare il mestiere di papà Salvatore, si è imbarcato su navi mercantili che trasportavano dalla Nigeria, dal Senegal, dalla Costa d'Avorio del materiale sino a Marsiglia.

"Noi italiani importavamo del legno ed esportavamo cemento in Africa." 

Adesso Luigi non lavora più, passa la mattinata in casa, mentre il pomeriggio non può fare a meno di fare una capatina in falegnameria. E' sempre prodigo di consigli nei confronti del figlio Giovanni, un ragazzo che a Ponza conoscono tutti, l'unico ad avere il "patentino" per poter sparare fuochi d'artificio durante le tante feste patronali."

Oggi 27 gennaio Giornata della Memoria


Luigi Pacifico con il figlio Silverio in falegnameria


Luigi Pacifico su un'imbarcazione

venerdì 26 gennaio 2024

Una bella edicola votiva

 All'isola di Ponza nelle scalette che congiungono via Galano con via Nuova, in una nicchia, c'è una bella Madonnina con il Bambino. E' un'immagine molto delicata, racchiude tanta tenerezza.

Il culto Mariano è molto sentito nell'isola e spesso nelle strade, sui muri delle abitazioni possiamo vedere delle bellissime edicole votive dedicate alla Madonna.

Foto scattata nell'agosto 2023.





mercoledì 24 gennaio 2024

Troppa pace fra le agavi di Le Forna

 Ettore Settanni descrive Le Forna, isola di Ponza,  come luogo di pace e tranquillità. Erano gli anni '50 visto che il brano è tratto dal libro "Isole del mito PONZA VENTOTENE" pubblicato nel 1960.

Lo trovo interessante. 

Ecco cosa scrive Settanni:

"Fino a qualche anno fa, prima cioè che venisse iniziato il servizio della corriera per Le Forna, a questo paesello si andava via mare. Perchè era più comodo, dato che non si poteva giungervi con altri mezzi, se non a piedi. Chi poi preferiva intraprendere tal viaggio, lo faceva davvero a piedi scalzi, portandosi sulle spalle le scarpe legate con lo spago, per procedere più spedito nel cammino certo non breve, oppure per economia, perchè un paio di scarpe, a Le Forna, ieri era un patrimonio.

Le barche adibite alle comunicazioni via mare partivano dal porto per fare scalo a Cala dell'Inferno, da dove poi bisognava salire su. Cala dell'Inferno è un paesaggio unico al mondo: nella colata nivea della liparite, incastonata fra i massi rossicci di tramontana e il roccione bruno seppia a levante, è scavata una scaletta dai tempi  romani: una scaletta che passa sotto un arco, quasi un finestrone gotico, ed è fiancheggiata e sormontata da blocchi candidi, simili ora ad una straordinaria flora fossilizzata, ora a fantastiche chimere medioevali. E' come se per un oscuro sortilegio, in una notte tempestosa tutte le chimere di Notre Dame avessero lasciato i loro piedistalli parigini per venirsi a sparpagliare su queste rocce, addormentandosi per sempre col sole negli occhi. 

Una volta compiuta questa ascesa, in un ambiente da paesaggio lunare, si giunge su, al paese de Le Forna, dirimpetto alla chiesetta del villaggio. 

Tremila anime circa, a Le Forna, che vivono in dipendenza dai venti e dal mare. La natura non è stata prodiga di spiagge, su questo lato dell'isola: anzi, ce n'è appena una modestissima, ma i Fornesi hanno scavato grotte e grotticelle nel tufo, ove difendono l'unico loro mezzo di sussistenza dalle furie del mare. Qui, la vita è come assente per una buona metà dell'anno. Verso gli idi di marzo, secondo una costumanza che si perde nei tempi, i pescatori, che sono i quattro quinti della popolazione maschile, armano i loro bastimenti e partono alla pesca, chi del corallo, chi delle aragoste. Qualche giorno prima, essi hanno portato in giro, fra i cortili candidissimi di calce, il loro Santo protettore: il buon San Silverio Papa, dal viso di vecchietto che la sa lunga e non si stupisce di niente, preferendo giocherellare, incantato, con l'aragosta da una parte e il ramoscello di corallo dall'altra, che i pescatori fornesi gli hanno messo nelle manine guantate di rosso. 

Quando l'ultimo gozzo scompare dietro l'isola di Palmarola, dirimpetto, le porte delle case si chiudono e le finestre si riempiono d'ombra. E' allora che le agavi, numerosissime qui, alzano i loro colli splendidamente fioriti, nell'approssimarsi della morte. Da questo giorno, le strade diventano dominio assoluto dei ragazzi e delle lucertole, e le apparizioni delle giovani donne sono sempre frettolose, come se il solo passo fosse un'offesa: una scia di peccato che si lasciano dietro nell'aria. Il largo mare de Le Forna, dominato a un'estremità dai tre blocchi dei Faraglioni di Palmarola e dall'altra dal profilo nervoso del Circeo bluastro, è diventato lo specchio di tutti i pensieri delle donne che passano le loro giornate a guardarlo:  sulla sua distesa esse leggono i buoni e cattivi presagi della pesca. Da poco tempo, accanto alla parrocchia, è sorto un campanile bassotto, dalla cui sommità Don Gennaro, parroco dal cuore d'oro, e unico prete del villaggio, scruta per primo il ritorno dei suoi marinai e predice infallibilmente l'esito della campagna di pesca dal modo come le barche ritornano a casa: il filo della vela curva sulle onde, il vento che lo porta, la speditezza delle manovre d'attracco, e cento altri minimi dettagli, che parlano prima delle voci, anche per poco assenti. 

Il villaggio de Le Forna, con le sue rocce riarse, bruciate dal sole e vive solo di fichidindia e di agavi, coi campicelli a terrazza su cui la vite bassa, unica fioritura, si accuccia sotto i muretti rudimentali, per farsi coraggio contro i venti implacabili, non offre altri scorci di ampiezza o di rilievo. Non c'è peccato, in questa contrada della povertà più francescana, lieta e serenamente bella. Ovvero, uno solo...se tale si può chiamare. Volendo dargli un nome, lo chiameremo "la folle eresia", che ha per ostello un gruppo di casette a tergo del cosiddetto Forte Inglese, da dove il terribile Napier un tempo folgorava i Sanculotti, in fuga verso gli antri e i lidi più sicuri di Sperlonga. Ebbene, in una di queste casette è sorta una nuova chiesa, per volontà di un ex-emigrato, ritornato dalla America, che ne è diventato il Pastore e che senza eccezioni, d'estate come d'inverno, battezza i suoi accoliti in una larga vasca cilestrina del mare sottostante. La piccola congrega conta una decina di anime doppiamente battezzate, e vive come una casta privilegiata in mezzo agli altri. Questo culto, avulso dalle radici di questa terra povera e tanto illuminata da una fede millenaria, ci dà lo stesso  accoramento sconfinato degli alberelli solitari, il cui seme proviene chissà come e da dove, gobbi sotto le raffiche che spazzano queste balze.

C'è tanta pace a Le Forna. Forse troppa, perchè la morte stessa ha perduto il suo  recondito senso di abbandono e riposo. Infatti a Le Forna, che pur dista otto chilometri da Ponza centro, non c'è cimitero. Le bare vengono trasportate a spalle per tutto questo lungo cammino fino al cimitero romano di Ponza. Il corteo, senz'ombra di tristezza, si snoda per la strada serpentina, preceduta da Don Gennaro che fa da battistrada infaticabile, a passo d'assalto, quasi si affrettasse, lui che tiene la contabilità di lassù, a deporre nelle mani del Signore quest'anima fornese, già addormentata in anticipo, per metà dell'anno, dalla cui pacifica vita di questa terra - una vita che, in sostanza, è piuttosto un sogno."

Un pò di foto di Le Forna com'era tratte dall'Archivio fotografico di Giovanni Pacifico










domenica 21 gennaio 2024

Attimi di paura all'isola di Ponza

 Ieri, 20 gennaio 2024, si è sfiorata la tragedia all'entrata del porto di Ponza. La motonave Quirino, proveniente da Formia, ha rischiato di ribaltarsi mentre faceva manovra per attraccare al porto. 

E' vero che c'era il levante, vento ostico per il porto di Ponza, ma la nave non dà molte garanzie in questo momento. 

Chi ha assistito alla scena si è spaventato tantissimo ma pensiamo a chi era a bordo. Ci sono stati danni ai veicoli che erano nel garage, per fortuna nessun ferito.

Penso che bisogna battersi per avere delle navi e aliscafi decenti per la nostra isola,  e' un diritto per i ponzesi.

E anche ieri, 20 del mese, come esattamente lo scorso anno, San Silverio ci ha messo la sua mano. 

Un pò di foto trovate in rete


 




venerdì 19 gennaio 2024

Un viaggiatore dell'Ottocento in visita alla Grotta del Serpente

E' di qualche giorno fa la notizia che si sta recuperando la Grotta del Serpente, Cisterna romana dell'isola di Ponza.

Il Sindaco di Ponza Francesco Ambrosino ha comunicato che è stato acquisito il terreno che permette di entrare in questa bella Cisterna situata in località Santa Maria, il tutto corredato da foto.

Sono veramente contenta. 

Ponza potrebbe diventare l'isola delle Cisterne ovviamente bisogna recuperare anche le altre, soprattutto quella maestosa di via Parata. Con il recupero di Beni archeologici si potrebbe dare un tocco di cultura alla nostra isola.

Ora il racconto di un viaggiatore dell'Ottocento:

Nel 1897, Johann Karl Graeser, viaggiatore svizzero, durante la sua permanenza a Ponza visitò la Grotta del Serpente e in "Viaggio alle isole del confino" la descrive così : "Camminiamo ora al fresco del tunnel di Santa Maria, tra muri di opus reticolatum. Tutto mi ricorda gli ambulacri imperiali come appaiono nella Villa Adriana, dove il grande epicureo cercava riparo dai caldi raggi del sole estivo.
Appena fuori, che idillio! Il golfo silenzioso nel quale si trovava la reggia di Circe. Casette bianche fra fertili giardini, terrazze dove floridi viti si avvinghiano come nastri verdi attorno al collo bruno dei monti, incorniciati da siepi cerulee di aloè (agave americana).
Mi guida un ragazzo e mi vuol mostrare la Grotta del Serpente. Si avvicina ad un signore anziano, basso di statura, che lavora le vigne e il podere sul quale si trova la grotta, ma non riceve risposta alcuna, fino a che io non lascio cadere la parola "cavaliere". Che sortisce, come sempre, il suo effetto.
"Felicissimo giorno" saluta il vecchio e con la più premurosa cordialità accoglie il raccomandato del " cavaliere-sindaco" (Vincenzo De Luca).
Ha il viso rugoso; le rughe si incrociano come linee di rombo su di un muro romano e in esso si aprono due occhi piccoli, neri, furbi e scrutatori. Mi esamina e non trova nulla di sospetto. Allora diventa allegro e loquace e ci conduce, attraverso le sue terrazza di viti ben coltivate, ad una buca profonda, mezza riempita di detriti, dalla quale escono i rami nodosi di un fico.
Scendiamo.
Androni impressionanti, profondamente incavati nel monte si allargano davanti ai nostri occhi: cinque corridoi a volta, ognuno largo da 3 a 4 metri e lunghi 30 metri, divisi da colonne robuste. Alle pareti resti di stucchi e decorazioni.
Si racconta che qui sia stata trovata una testa d'oro massiccio che era posta in una nicchia della sala d'ingresso e pure tubi di piombo che dimostrano che questa è una delle tante cisterne romane distribuite un pò dovunque nell'isola. (Parte di tali reperti sono ora al Museo di Napoli)."

Ecco le foto pubblicate dal Sindaco di Ponza Francesco Ambrosino









Piantina della Grotta del Serpente (Tratta da "Isole Pontine attraverso i tempi)

giovedì 18 gennaio 2024

U spusalizio i na vota

 U spusalizio (il matrimonio), a Ponza, in genere, un tempo, veniva celebrato di domenica, oggi non è più così.

Nei giorni precedenti c'era l'appriezzo cioè la stima del corredo della sposa che veniva trascritto pezzo per pezzo su un foglio dall'apprezzatore (una persona scelta dalle  famiglie degli sposi).
E finalmente arrivava il giorno fatidico...
La sposa, vestita di bianco, veniva accompagnata in chiesa dal padre, dietro c'erano le coppie di familiari, di amici e quindi  formavano un corteo nuziale che attraversava le strade dell'isola.
Un matrimonio era pur sempre un evento...
Dopo la cerimonia il corteo nuziale con in testa gli sposi avevano davanti a loro tanti bambini che cercavano di prendere qualche confetto o qualche soldo che gli invitati lanciavano in segno di augurio.
Un tempo il pranzo nuziale si faceva in casa perchè non c'erano ristoranti  adatti ad ospitare un gran numero di invitati.

In queste foto, il matrimonio di Silverio Musella e Francesca Iacono, mia zia, sposi nel gennaio 1948.
Come sono belli!!!




mercoledì 17 gennaio 2024

Il falò per Sant'Antuono

 Il 17 gennaio festa di Sant'Antonio abate (Sant'Antuono)  all'isola di Ponza, come in altre parti d'Italia era usanza fare il falò.

Racconta Aniello De Luca, memoria storica dell'isola, che nel vico Corso Umberto la famiglia Ambrosino con tutto il vicinato facevano un bel falò. La signora Diana lanciava dal balcone una vecchia sedia da bruciare, gli altri portavano le frasche usate per il presepe che alimentavano il fuoco. Poi si portava la carbonella che sarebbe servita per il braciere a zì Verucciella, a zì Miliuccia, a zì Olimpia, a Nduniella...

Il giorno seguente Cicciariello, lo spazzino, puliva la strada.

Questo rito si lega al momento in cui torna la luce, le giornate cominciano ad allungarsi, portando vita e fertilità nei campi.

Che bella tradizione!!!


Un falò per Sant'Antonio abate


Dinte u vico Corso Umberto chiamato un tempo vico G. Mazzini

lunedì 15 gennaio 2024

Zio Placido

 Proprio in questi giorni ricorre l'anniversario della scomparsa di mio zio Placido Conte, fratello di mia madre.

Placido Conte era nato nel maggio del 1913 ed è scomparso improvvisamente il 17 gennaio 1961 lasciando tanto sgomento e dolore. 

Figlio di Salvatore Conte e Assunta Mazzella lavorava come agente di custodia nel carcere dell'isola di Procida. Era sposato con Assunta Conte, figlia di Giuseppe i Mamèna e Rosa Cuomo.

Oltre alla moglie Assunta, lasciò i figli Salvatore e Rosanna ancora bambini a cui la figura del papà certamente è mancata nella loro crescita.

Io personalmente non lo ricordo fisicamente ma in famiglia spesso si parlava di lui. 

Voglio ricordarlo...credo sia importante

Nella foto: Placido Conte in divisa della Marina, quando faceva il militare, forse era il 1933 (Foto gentilmente concessa da Salvatore Conte, il figlio)



domenica 14 gennaio 2024

La chiesetta del carcere di Santo Stefano

 Sull'isolotto di Santo Stefano, nell'Arcipelago Ponziano,  c'era un ergastolo durissimo fino al 1965. 

E' stato cappellano per molti anni un mio prozio, il ponzese don Aniello Conte.  Mia madre Elvira ed anche suo fratello Aniello qualche volta andavano a fargli vista.

Mia madre Elvira raccontava che nella chiesetta di Santo Stefano ha ricevuto la Prima Comunione da suo zio don Aniello Conte.

Dopo la chiusura  del carcere i locali sono stati saccheggiati purtroppo come racconta un testimone: "Di notte arrivavano le barche da Ischia per prendere tutto ciò che poteva essere preso, addirittura portarono tutte le soglie di marmo della scala della palazzina del direttore. Molte cose che si trovavano in alcune case di Ischia venivano da Santo Stefano: porte, servizi igienici, piastrelle... Hanno rotto tutto. Persino nella chiesetta i marmi dell'altarino, le statue, vecchie piastrelle in ceramica, tutto. Era piccola, ma attrezzata di tutto, era bellissima. Poi l'ho vista devastata. "  (Brano tratto dal libro di Pier Vittorio Buffa - Anthony Santilli "NOVANTANOVE CELLE")


L'ergastolo di Santo Stefano visto dall'alto


Don Aniello Conte per molti anni cappellano del carcere 


I resti della chiesetta, doveva essere molto bella

venerdì 12 gennaio 2024

Una chiesa, un faro e una tomba

 Pasquale Mattei, nella  monografia "L'arcipelago Ponziano", descrive e ritrae con la sua matita degli angoli delle nostre isole di quel tempo, nell'aprile 1847.

Dalla Batteria Leopoldo nota una tomba e delle "bianchissime punte di fabbrica" che descrive così:

"...ad ogni piè sospinto vedeva io cangiarsi il bel panorama che mi stava dinnanzi. Poscia più ripida una discesa mi condusse ad un pianerottolo poco superiore al mare, e che di sbieco guardava l'entrata della baia principale dell'isola. 
Tre o quattro pezzi di artiglieria, affiancati da un corpo di guardia con sentinella militare mi avvertirono dello scopo minaccioso di quella fortificazione, la quale mi disse appellarsi la Batteria di Leopoldo.
Mi assisi sul parapetto di questo marziale recinto, e traeva la mia matita, allorchè un vecchio soldato invalido e monco di un braccio mi si avvicinava, ed io mi feci a chiedere a lui che curiosamente guardava:
-  Di grazia: sarebbe mai una tomba quella che mi sta dirimpetto scavata nel vivo della rupe, e che sembrami assai modesta, ma singolare per essere stata qui deposta? E sul ciglione superiore della medesima rupe quelle due biancastre punte di fabbrica, che mi pare posassero quali simmetrici trofei mortuari di quella tomba, se non m'inganno esser debbano una Chiesa ed un Faro?...
- Non vi siete ingannato: quel monumento non ancora compito serba le ceneri di un giovane uffiziale della Guarnigione Svizzera qui stanziata, e si lavora per mano di industre servo di pena. 
Un Faro ed una Chiesa sono le estremità bianche che da quaggiù non si ravvisano interamente, sporgenti appena dalla rupe alla quale stanno a cavaliere..."

La Chiesa era quella della Madunnella ormai scomparsa, perchè è  crollata, restano solo i ruderi nel cimitero dietro la cappella di don Salvatore Tagliamonte. Dopo la costruzione della nuova chiesetta del cimitero vi seppellirono le salme.
Proprio intorno alla Cappella d'a Madunnella si sviluppò l'attuale cimitero che distava poco dal Sepolcreto Tricoli ed aveva caratteristiche simili.
Pare che fosse il Santuario dedicato alla Natività di Maria fatto scavare nella roccia del promontorio della Madonna dalla Capriola di Ponza, verso la fine del 1200, di cui racconta il Boccaccio nel suo Decamerone (sesta novella, seconda giornata).
L'altra bianchissima punta di fabbrica era il Faro della Madonna che è precedente a quello attuale.
La tomba era di un ufficiale della Guarnigione Svizzera.


Nel disegno del Mattei vediamo una chiesa, un Faro ed una tomba


Il luogo da cui il Mattei ha realizzato il disegno. Su vede la rupe ed anche la tomba nella roccia


In questa foto si vede una tomba nella roccia (estate 2018)

mercoledì 10 gennaio 2024

Un proverbio di Ponza

 Anne è bicchière i vine d'u Fiène nun se contene maje

(Anni e bicchieri di vino del Fieno non si contano mai)

A che serve contare gli anni che si hanno quando vivere il più a lungo  possibile è una cosa meravigliosa come meraviglioso è il tracannare senza limite il gustoso e superbo vino del Fieno

(Dal libro di Ernesto Prudente "A Pànje - i proverbi di Ponza-") 


Al Fieno si produce il migliore vino dell'isola di Ponza (estate 2015)


Gli amici del Fieno (Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)

domenica 7 gennaio 2024

L'ultimo libro dedicato a Ponza di Giuliano Massari

 Giuliano Massari è scomparso da poco e l'ultimo libro che ha pubblicato dedicato a Ponza è sulle porte delle abitazioni, dei locali dell'isola. 

E' molto interessante e come scrive Giuliano all'inizio del libro è "Un contributo alla conoscenza del patrimonio culturale da sempre dimenticato e offeso"

In effetti a Ponza c'è poca attenzione nel conservare gli edifici storici ed ovviamente anche le porte questo anche per la destinazione d'uso prevalentemente turistica. Nel centro storico dell'isola ormai non ci vive quasi più nessuno, le abitazioni sono destinate soprattutto all'affitto estivo. 



La copertina del libro "La Porta"

Ed ora qualche foto di Porta che è presente nel libro scattate da me e da mia figlia Marianna


Dietro questo portone un tempo c'era la Pretura in via Madonna (Estate 2017)


Il Portone del palazzo Martinelli a Sant'Antonio (Estate 2017)


Porta della Falegnameria Pacifico in via Nuova (Estate 2019)


La Porta del magazzino di Ciro Iacono (Foto di Marianna Licari)


Il Portone dell'antico Palazzo Tagliamonte oggi di proprietà Coppa - Conte  visto dall'interno. Un tempo c'era il Municipio. (Foto di Marianna Licari)


Il maniglione del Portone del Palazzo Tagliamonte (Foto di Marianna Licari)



venerdì 5 gennaio 2024

Il cimitero di Ponza di notte attende i naviganti

 E' ciò che sostiene Ettore Settanni nel suo libro "Isole del mito PONZA VENTOTENE", pubblicato nel 1960

Ecco cosa scrive:

" Il viaggiatore che arriva nelle acque di Ponza è colpito, per prima cosa, dal gruppo di cappelline che sovrastano il promontorio, al riparo del quale si stende il centro del paesello e il suo porticciolo. E lo scambia addirittura per l'abitato, tanto il posto è ridente, con le sue costruzioni fresche,  per nulla rattristato dai soliti cipressi che immalinconiscono i luoghi della morte. Anzi, all'ingiro, le ginestre, i ciuffi di gerani multicolori mettono sulla roccia, che è una sciorinata pazza di strati giallocromo alternati ad altri cinerini, una nota di festa perenne. Affacciato su un sipario di scogli accesi di luce, su un mare di tinte gaie e cangianti - dai verdi smeraldo più tersi al cobalto vellutato - questo non è davvero un posto adatto ai morti. A meno che alla morte si voglia dare un altro significato, e ai morti un  destino diverso...

Questo pensavo salendo il viottolo che, alle spalle del paese, porta al cimitero. Oltrepassato il cancello arrugginito come quello di un carcere secolare che nessuno più sbarra, entravo nel luogo che non è triste. Le numerose cappellette sembrano più casette di vivi partiti lontano, che aspettano il loro ritorno. Due, tre caprette brucavano l'erba selvatica che cresce e seppellisce le tombe, sullo spiazzare della batteria. E bisogna essere loro riconoscenti, perchè, senza di questo, l'orma stessa dei tumuli si perderebbe. Non ci sono alberi in questo cimitero dalle tombe brevi di calce bianca, che sembrano tanti sediletti, forse perchè vi riposino gli spettri nelle loro passeggiate notturne. 

Il cimitero di Ponza è anche unico al mondo per un'altra particolarità: sulla parete che si affaccia al mare è visibile una lunga scala, di quelle che usano i marinai per risalire a bordo, lungo le murate dei bastimenti. Questa scaletta aveva sempre attirato la mia attenzione, e a lungo mi ero chiesto a cosa potesse servire, anche perchè la pioggia, i venti e il sole ardente l'hanno resa leggera, consunta, quasi tenuta su per miracolo, con la fragilità d'una ragnatela. Poi è giunta la divinazione improvvisa, illuminante; come avevo fatto a non accorgermene prima?  I Ponzesi sono uomini di mare e vivono di mare; però molti di essi ci muoiono anche sul mare. L'eterea scaletta marina è stata gettata sulla muraglia del cimitero di Ponza, perchè i caduti della battaglia del mare ritrovino la via delle loro casette dell'eternità. C'è chi assicura che arrivano lievissimi, sulla punta dei piedi, salgono i pioli che scricchiolano appena, stiracchiando le corde laterali , e poi, e poi...si sente il coperchio della bara che li attende richiudersi con un tonfo."

Nota:

Ettore Settanni era scrittore e giornalista. Per molti anni ha avuto una casa a Ponza in cui trascorreva anche periodi invernali.


In questa foto di tanti anni fa del cimitero di Ponza di vede una scaletta scavata nella roccia


Il cimitero di Ponza visto dal mare (Estate 2015)

mercoledì 3 gennaio 2024

Una processione sull'isolotto di Santo Stefano

 In questa foto possiamo vedere una processione con la statua della Madonna portata dai detenuti. Si vede chiaramente a destra, dietro il frate,  il dottor Francesco Sandolo per molti anni sindaco di Ponza. Probabilmente sono gli anni '50 quando arrivò a Santo Stefano come direttore della colonia penale Eugenio Perucatti. Era un innovatore che credeva fermamente nel recupero dei detenuti.

Perucatti studiò i fascicoli dei detenuti per capire se ci fossero errori giudiziari. Inviò sette domande di grazia al Presidente della Repubblica. 

" Le domande accolte sono cinque: quattro di grazia, una di commutazione dell'ergastolo. E' l'8 agosto 1953. L'evento viene celebrato con la consegna al carcere di una Madonna benedetta dal papa, e la presenza sull'isola delle più alte autorità del sistema penitenziario. I giornali raccontano la giornata con dovizia di particolari e i titoli, " Il carcere dell'isola non è più la tomba dei vivi", danno il senso della profonda inversione di rotta imposta da Perucatti alla storia del penitenziario." 

(Brano tratto dal libro "NOVANTANOVE CELLE "  scritto da Pier Vittorio Buffa e Antony Santilli)

Nota:

L'isolotto di Santo Stefano, insieme a Ventotene, fa parte dell'Arcipelago Ponziano



lunedì 1 gennaio 2024

La Natività di Tirendi

Qualche anno fa è scomparso l'artigiano ponzese Guglielmo Tirendi, uno degli ultimi. 

Una grande perdita per Ponza.

Nel suo laboratorio, all'isola di Ponza,  in Corso Pisacane, realizzava degli stupendi oggetti in ceramica. Spesso  metteva un tavolino proprio fuori al negozio mostrando come nascevano le sue creazioni e potevi vedere come le sue mani plasmavano, dipingevano. 

Molte persone si fermavano a parlare con lui, a fotografarlo...anch'io.

Una vera chicca erano i piccoli presepi, anche io ne ho uno.


Un piccolo presepe realizzato da Guglielmo Tirendi, il mio


Guglielmo mentre realizza una sua creatura


I piccoli presepi pronti per la cottura


Alcune creazioni


I colori

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