Nel 1911 giunsero a Ponza 450 prigionieri, catturati tra le forze di opposizione durante la Guerra di Libia. Queste persone subirono un trattamento disumano, molti morirono durante la traversata e i loro corpi furono gettati in mare. Ponza non fu il loro unico luogo di prigionia in quanto furono rinchiusi anche alle Tremiti, a Ustica, a Favignana e in altri luoghi dell'Italia.
Silverio Corvisieri così racconta nel libro "All'isola di Ponza":
"I libici furono costretti a dormire, in sei - sette in piccole camerette, su un sacco di paglia e senza coperte. Non fu loro assegnato nè un asciugamano nè un sacco per chiudere le loro povere cose. Il vitto giornaliero consisteva in 750 grammi di pane e una minestra di 200 grammi, la carne la vedevano soltanto una volta alla settimana. I prigionieri erano quasi tutti beduini abituati a vivere nel deserto, alla vita nomade, a un clima più caldo. Il delegato di pubblica sicurezza, Nazzareno Musco, sentì il dovere di segnalare al prefetto di Caserta la indecenza della situazione. Scrisse che i libici usavano le lenzuola loro assegnate per "confezionare, riducendole in strisce, dei turbanti e dei berretti per la testa nonchè delle cinture per il ventre"; essi usavano radersi anche la testa; non disponevano di camicie ; "durante la lunga e rigida stagione invernale" - aggiunge Musco - gli arabi stavano "quasi sempre rinchiusi nel vasto locale del bagno...ravvolti nei barracani, seduti per terra, in attesa d'un raggio di sole" che consentisse loro di uscire all'aperto. I ponzesi, mentre in tutta Italia si continuava a cantare "Tripoli bel suol d'amore" non sapevano se imprecare contro la decisione del governo che riportava l'isola in condizioni peggiori di quelle causate dal domicilio coatto oppure impietosirsi per il trattamento disumano inflitto a quei "turchi" . La denutrizione e le pessime condizioni igieniche ebbero conseguenze fatali sulla salute di molti libici: nei primi sei mesi del 1912 ne morirono ben 13 mentre numerosi altri contraevano gravi malattie polmonari. I cadaveri dei prigionieri furono gettati in una fossa comune fuori del cimitero."
Nel cimitero di Ponza c'è un monumento che ricorda i poveri libici.
Nota:
La signora Adele Manna, madre di Genoveffa D'Atri che aveva il tabacchino su Corso Pisacane, è stata testimone dell'arrivo dei libici giunti a Ponza nel 1912. Racconta che una nave arrivò a Ponza, sostò dietro alla scogliera ed il gruppo di deportati libici venne fatto sbarcare alla Caletta, la spiaggia retrostante il porto. I libici erano vestiti con i barracani e vennero spogliati, lavati e disinfettati dalla Croce Rossa poi vennero portati nei cameroni. La signora Adele era giovanissima e osservò la scena con le amiche Iolanda e Mafalda, figlie di Gaetano Vitiello, comandante del porto che abitava sopra l'attuale Capitaneria. (Testimonianza di Genoveffa D'Atri raccolta da Rita Bosso)
In questo angolo del cimitero di Ponza si intravede il monumento in ricordo dei deportati libici
In questi cameroni oltre ai confinati ci furono anche i libiciFoto tratta dalla pagina FB di Isole Minori
"Isola di San Nicola, Isole Tremiti, Sante Naccarati, 1911
Un gruppo di prigionieri arabi di fronte al castello di San Nicola.
Le ambizioni coloniali italiane sfociarono nella guerra Italo - Turca, detta anche Guerra di Libia. Il governo di Giolitti dichiarò guerra all'Impero Ottomano e invase le regioni della Tripolitania e Cirenaica. Per piegare la popolazione libica, che combatteva al fianco dei turchi, il 25 ottobre 1911 il governo decise la deportazione dei ribelli nelle
varie colonie penitenziarie italiane, anche su alcune isole minori. Dai 400 previsti, furono deportati almeno 4000 libici. Le condizioni di viaggio furono terrificanti e i morti nel viaggio furono molti. Chi arrivò nelle colonie non ebbe vita facile. Si stima che alla fine delle detenzione sopravvisse solo un terzo dei prigionieri. Una pagina tremenda della Storia. Il dramma dei deportati libici è ricordato da una scultura alle isole Tremiti, un monumento nel cimitero di Ponza (anche con una targa fuori dai cameroni dove erano rinchiusi) e una lapide in quello di Ustica.
Foto dall'Illustrazione Italiana, Anno XXXVIII, No 48, 26 Novembre 1911."