In
un giorno di gennaio, nella nostra famiglia, composta già da tre figli,
arrivarono due gemelle. Erano gli anni Sessanta, io avevo quasi cinque
anni ma quel giorno non lo dimenticherò mai. Mia madre non sapeva di
aspettare due gemelle, a quei tempi non c’era l’ecografia e si partoriva
in casa.
Quella
mattina, mentre mi preparavo per andare all’asilo (si chiamava così
allora), mi madre mi disse: “Francesca, fai la brava, che oggi nascerà
il fratellino o la sorellina”.
All’uscita
da scuola io, insieme a mia sorella e mio fratello, andammo a casa di
nonno Peppino. Ci preparò da mangiare una pasta in bianco con i capperi
(credo), ed io schizzinosa com’ero non mangiai niente.
Verso sera tornammo a casa nostra e nel letto grande vicino a mia madre c’erano due fagottini.
Una, cicciotella, stava in una copertina rosa, l’altra, molto piccola, piangeva sempre ed era avvolta in una copertina verdina.
Mio
fratello se ne uscì con un’esclamazione: “Ah! invece di una sono due!”.
Capirai, era rimasto l’unico maschio in mezzo a quattro femmine.
Mio padre, invece, impazzì di gioia. Mise due fiocchi rosa alla finestra per annunciare questa nascita.
Per Ponza fu un evento!
Un parto gemellare in una piccola comunità non era cosa da poco!
Le
gemelle, crescendo, facevano parecchie marachelle e poiché erano le
ultime nate, erano chiamate in dialetto la “rattatura della mattera”.
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