domenica 13 aprile 2025

Storie di mare: un'avventura della goletta San Salvatore

  Il San Salvatore era una bella goletta costruita a Torre del Greco, apparteneva alla famiglia Sandolo, era adibita al trasporto di aragoste vive e capitoni.

Questa storia è tratta dal libro di Gino Usai "I pescatori ponzesi in Sardegna dal Settecento ai giorni nostri" che ha raccolto in un'intervista le parole di Italo Sandolo, figlio di Raffaele. 

Ecco il suo racconto:

" Sul finire degli anni Trenta, in prossimità del Natale, il  "S. Salvatore " caricò a Prèvesa, in Grecia, una stiva di capitoni destinati al porto di Napoli. Il capitano era Gennarino Sandolo, al suo fianco il giovane fratello Raffaele, il nostromo Biagio Rivieccio e tre marinai. Giunti nel Salento, a ridosso delle coste del Leccese, il vento di Maestrale rinforzò e li spinse verso sud costringendoli a riparare a ridosso di Malta. Ma la tempesta non gli diede tregua e li sballottò per tutto il Mediterraneo. Il forte vento strappò le vele e sottocoperta era un continuo rattoppar di tele; più volte furono sul punto di naufragare. Poi il vento li spinse sulle coste dell'Africa ed approdarono ad Alessandria d'Egitto. Qui gli inglesi li guardarono con sospetto scambiandoli per spie: quel burchiello con la stiva sforacchiata e piena di capitoni gli sembrava una nave pirata sbucata dalla tormenta infernale. Ma non erano pirati : erano i temerari marinai ponzesi, guidati dai fratelli Sandolo di Le Forna. 

Intanto a Ponza li aspettavano, e aspettavano invano. Erano attesi in famiglia per festeggiare il nuovo anno. Il vecchio Salvatore Sandolo attendeva con ansia i propri figli da una settimana, ma del bastimento nessuna notizia; le comunicazioni a quel tempo erano quasi inesistenti. Si cominciò a pensare al peggio e nella famiglia si diffuse la paura e la disperazione. A Salvatore non rimase che telegrafare al noleggiatore del carico a Catania per aver notizie. Ma lo stesso noleggiatore non aveva notizie. 

Allora Salvatore si recò in terraferma presso un convento di monaci alle pendici di un monte per una divinazione. I monaci nel silenzio della notte, tra una preghiera e un salmo, udirono il rumore di un motore e predissero l'arrivo del bastimento. Il giorno successivo giunse finalmente un telegramma da Alessandria: "Tutti salvi!"

Il vecchio Salvatore pianse in cuor suo e festeggiò i figli ritrovati."

La goletta San Salvatore venne colpita mortalmente da un sommergibile olandese ed affondò. Era la notte tra il 21 e il 22 novembre 1941.

Isola di Ponza, goletta San Salvatore, foto di Biagio D'Arco, agosto 1927

venerdì 11 aprile 2025

Walter e Silvia un amore al confino

 Tante piccole storie contribuiscono a fare la STORIA.

La storia d'amore di Walter e Silvia  è nata al confino all'isola di Ponza ovviamente ostacolata visto il periodo,  in pieno regime fascista.

Giordano Walter Busi, nome di battaglia Michele, nacque a Bologna nel 1907,  confinato a Ponza sposò nel luglio 1933 la ponzese Silvia (Silveria) Vitiello. Dal loro amore nacque nel maggio 1934 il figlio Spartaco.

Questa storia è tratta dal libro di Silverio Corvisieri  "Zi' Baldone (accadde a Ponza nel Novecento)"

"Silvia Vitiello s'innamorò di Walter Busi, muratore comunista di Bologna, suscitando la collera di suo fratello Filippo e la viva apprensione della madre. Fin dal 1933, quando i due non erano ancora sposati, il direttore della colonia di Ponza chiese al ministero dell'Interno di trasferire il confinato dal momento che non si potevano escludere "incidenti" vista la posizione di fascista del fratello ed il carattere deciso della madre..."

"...In questo clima infuocato i due innamorati non potevano mai incontrarsi ma ciononostante, in alcune occasioni, grazie a Maria Migliaccio riuscirono a scambiarsi qualche biglietto. Scoperta questa corrispondenza, considerata una violazione del Testo Unico di P.S., Busi dovette comparire davanti alla commissione per l'esecuzione della legge di P.S. , che era stata istituita anche a Ponza (ne facevano parte il parroco Raffaele Tagliamonte, il medico e seniore della milizia Andrea Buonsante e il direttore della colonia commissario Amerigo Di Marzo) . La commissione condannò il confinato a 20 giorni di carcere perchè - così si legge nella sentenza - col suo comportamento aveva turbato la madre e il fratello  di Silvia i quali "non senza ragioni minacciano vendetta verso di lui". Il giorno stesso Silvia abbandonò la casa dei suoi genitori e andò a vivere in un appartamento preso in affitto, in attesa che Busi - trasferito a Ventotene dopo la condanna - potesse tornare a Ponza per sposarla.

Dopo un ultimo fuoco di sbarramento  dei familiari, Silvia potè  sposare Walter e andare a vivere con lui a Ventotene; ritornò a Ponza soltanto per partorire un bel maschietto e attendere il ritorno del marito. Cosa che avvenne nell'aprile del 1934 ma durò soltanto un paio di anni perchè Busi fu nuovamente arrestato col sospetto  che raccogliesse i fondi per i combattenti antifranchisti in Spagna. Lei rimase per qualche tempo a Bologna presso i suoceri che però erano molto poveri; il 19 aprile 1937 la prefettura di Bologna riconobbe che le condizioni economiche di Silvia e di di suo figlio erano "veramente critiche" e dette parere favorevole alla concessione di un sussidio. Le fu impedito,  nello stesso anno, di recarsi a Ventotene a visitare il marito nuovamente confinato perchè Walter - così scrisse il direttore di quella colonia - era "un pessimo elemento, immeritevole di qualsiasi benevola considerazione" . La madre di Silvia, aggiunse il commissario, viveva in condizioni agiate ed era disposta ad accogliere la figlia ma a condizione ch'ella si separasse dal marito. 

Nel 1938 Busi fu condannato ad altri cinque anni di carcere per reati politici ma parte della pena fu poi condonata; nel 1941 egli fu di nuovo spedito al confino a Ventotene mentre Silvia era costretta a tornare a Ponza.

I due poterono riunirsi soltanto dopo la caduta di Mussolini ma ben presto Busi si rituffò nella lotta politica in uno stato di semiclandestinità perchè il nuovo governo di Pietro Badoglio si mostrava estremamente prudente nel ripristino delle libertà fondamentali. Dopo l'8 settembre e l'invasione tedesca, Busi fu nominato commissario politico di una formazione partigiana che operava nella città di Bologna. Gli furono fatali i combattimenti del novembre 1944 quando i partigiani - ritenendo molto prossimo l'arrivo degli Alleati - tentarono di liberare la città. Furono invece lasciati soli ed i grandi difficoltà. Il 18 novembre Busi, catturato da brigatisti neri, fu immediatamente torturato e poi fucilato. Aveva 37 anni e ne aveva vissuti 19 tra carcere e isole di confino.

A guerra finita Silvia si trovò a Bologna, insieme a suo figlio, senza una casa e senza un lavoro. Ma il sindaco Giuseppe Dozza che di Busi aveva condiviso le idee e le lotte, provvide a farla sistemare in due stanze di una villa requisita e la fece assumere come operaia alle Manifatture Tabacchi. L'ultima battaglia di Silvia fu quella di ottenere da parte dello stato italiano il riconoscimento di suo marito come combattente caduto per la liberazione..."

"...Busi fu infine riconosciuto per quello che era stato e alla vedova fu concessa la pensione prevista dalla legge. Silvia non ha più voluto risposarsi."

Una grande storia d'amore che ha sfidato il tempo. 

Sarebbe bello trovare qualche foto di Silvia, la immagino come una donna di gran carattere e coraggiosa. Sicuramente era  bellissima.


Il santino del funerale di Giordano Walter Busi (Fondo fotografico ANPI, istituto Parri, Bologna)


Le foto segnaletiche nel suo fascicolo personale presso l'Archivio di Stato di Bologna




L'isola di Ponza com'era

mercoledì 9 aprile 2025

Una parola dal dialetto ponzese

 Ogni tanto mi vengono in mente delle parole in dialetto ponzese un pò desuete ed è un vero peccato perderle.

Come "scerettùre" 

Il significato di questa parola vuol dire che è giunta sull'isola aria fresca, secca, ad esempio quando arriva il vento di maestrale.

I contadini approfittano per travasare il vino nelle botti. 

Si imbiancano le case così asciugano presto.

Nelle foto di Rossano Di Loreto l'isola di Ponza, marzo 2025








domenica 6 aprile 2025

venerdì 4 aprile 2025

La feluga ponzese

 Feluga così viene chiamato il tipico gozzo che possiamo trovare nelle acque dell’isola di Ponza.

Praticamente è il gozzo sorrentino che i maestri d’ascia locali hanno modificato adattandolo al mare di Ponza.
Il Tricoli nella sua “Monografia per le isole del Gruppo Ponziano”, scritta nell’Ottocento, cita le “felluche” con cui gli Ischitani portavano il pescato a Napoli.
La feluga veniva costruita secondo le esigenze del pescatore, il tipo di pesca che praticava, e questo valeva anche per le dimensioni.
Venivano costruite delle felughe più grandi per arrivare a pescare in Sardegna, in Toscana, all’isola La Galite (in Tunisia).
In origine erano a remi poi sono state dotate di vela e successivamente di motore.
Il maestro d’ascia sceglieva con cura il tipo di legno per la sua creazione, ne usava diversi per le varie parti dello scafo.
Mio padre, Ciro, maestro d’ascia, negli ultimi anni della sua vita, costruiva nella sua bottega, meravigliosi modellini di feluga che fanno bella mostra in alcuni ristoranti ma anche in qualche abitazione.
Il mio modellino di feluga ponzese è azzurro, e non poteva essere altrimenti, visto che è il colore che amo.
Anche il Santo patrono di Ponza, San Silverio, viene portato in processione su una feluga piena di garofani rossi costruita ovviamente da mio padre negli anni 60.
Qualche anno fa ha scritto un libro interessante su questo argomento Giovanni Hausmann che della feluga così scrive:
"La filuga ponzese è stretta e lunga e sembra disegnata dal mare. Quando naviga non muove acqua, non fa onde perchè è concepita per ridurre al massimo la resistenza dell'acqua e fare in modo che i pescatori, remando, facessero il "minimo" sforzo."
Una bella feluga ponzese che solca le acque di Ponza è il Re del Fuoco fatta restaurare dall'attuale proprietario. Venne costruita dal maestro d'ascia Lucio Serto, Nduluniello.
Molto bella anche quella di Claudio Romano, la Zannone 1954, costruita dal maestro d'ascia Gennaro Aprea a Terracina. L'abbiamo potuta ammirare in alcune scene della fiction L'amica geniale.



La feluca "Il Re del Fuoco" , foto di Marianna Licari




La feluca "Zannone 1954" di Claudio Romano


La feluca che porta San Silverio in processione


Il modellino di feluca realizzato dal maestro d'ascia Ciro Iacono, mio padre

mercoledì 2 aprile 2025

Primavera all'isola di Ponza

 Primavera all'isola di Ponza,  pendici del monte Guardia, chiesetta della Madonna della Civita

 Foto tratte dal libro della fotografa Lou Embo "Isole Ponziane", 1997




domenica 30 marzo 2025

La fattura

 " Si racconta ancora di un vecchio di Le Forna, imbarcato su un bastimento in navigazione per la Sardegna, che realizzò su una lunga cima decine di nodi che poi,  legata a una pietra, gettò in mare pronunciando formule segrete e incomprensibili.

L'intenzione malvagia era quella di fare del male alla persona pensata e siccome i nodi non potevano più essere sciolti in quanto sommersi nel profondo del mare il male sarebbe rimasto indelebile.

Sorpreso fu costretto a confessare le sue intenzioni dichiarando anche che lo faceva senza però crederci molto a queste cose e che leggeva in un vecchissimo libro che gli avevano dato a Resina, quartiere nei pressi di Napoli. 

Il vecchio continuò, con molta  leggerezza, a mettere in pratica quanto era scritto in questo libro anche nell'occasione dell'insonnia che il figlio nella culla accusava di notte. Sembra che il sortilegio funzionasse ma dopo tre giorni che il piccolo non si era svegliato la madre, presa dalla paura, d'impulso bruciò questo libro maledetto. Fu un problema rimediare all'incantesimo e si riuscì, "dopo vari tentativi del medico, solo con l'intervento del parroco."

(Racconto tratto dal libro di Silverio Mazzella "Le ore del giorno, i giorni dell'anno, gli anni della vita")

Nota:

La fattura è un'azione malvagia nei confronti di qualcuno


Nelle foto:

Isola di Ponza, Le Forna di tanto tempo fa





venerdì 28 marzo 2025

Una donna di mare

 Maria Scarpati "i Sciammerica" era una donna di mare ponzese. Era nata nel 1881 in una famiglia di pescatori. 

Abitava all'isola di Ponza in Banchina di Fazio dove aprì una pescheria gestita al femminile, prima, appunto, Maria, poi la figlia Rita poi Gioia la nipote.

Maria andava per mare anche quando era incinta, una figlia nacque a La Galite ed un figlio lo partorì appena tornata dalla pesca.

In questa foto: da sinistra Giuseppe Di Scala detto Peppe, Vittorio De Luca, Giosuè Di Scala, Maria Scarpati, Edoardo Stimma davanti a loro un pesce spada

(Notizie e foto tratte dal libro di Silverio Mazzella "Ponzesi gente di mare. Storie di barche, di pesca, di navigazione")


mercoledì 26 marzo 2025

Gli idrovolanti all'isola di Ponza

 Nei primi mesi del 1918, durante la Prima Guerra mondiale, in un capannone sulla spiaggia di Santa Maria, all'isola di Ponza, erano custoditi cinque idrovolanti FBA.

Servivano per perlustrare il mare circostante l'Arcipelago Ponziano.


Il capannone degli idrovolanti a sinistra sulla spiaggia di Santa Maria


Un idrovolante in una sovrapposizione di una foto d'epoca dell'isola di Ponza


Il porto di Ponza fotografato da un idrovolante


Santa Maria dall'alto si vede l'hangar per gli idrovolanti

(Notizie e foto sono tratte dal libro di Silverio Mazzella "Ponzesi gente di mare. Storie di barche, di pesca, di navigazione")

lunedì 24 marzo 2025

Pescatori che asciugano le coffe

 Isola di Ponza,  i pescatori stendono le coffe al sole che essendo di spago avevano bisogno per non marcire di asciugare ogni tanto, forse 1956

Una bella immagine di una Ponza di tanto tempo fa


venerdì 21 marzo 2025

Il sovversivo col farfallino

 Il sovversivo col farfallino era Giuseppe De Vito confinato dal regime fascista all'isola di Ponza. 

Un ragazzo del 1899 che venne chiamato a difendere la Patria durante la prima guerra mondiale.

Era un ebanista, originario della provincia di Foggia,  antifascista e comunista che venne mandato al confino prima ad Ustica poi a Ponza.

Si veniva inviati al confino per cose banali come una scritta su un muro,  per un fazzoletto rosso, per aver cantato una canzone...

Mentre era a Ponza l'ebanista Giuseppe De Vito, insieme ad un altro confinato intendeva mettere in atto un deposito di casse da morto ma non so se ci riuscì.

Come vivevano a Ponza viene descritto dal confinato Alfredo Misuri:

"Il paese è grazioso e panoramico; la vita è più confortevole che ad Ustica, sotto tutti i riguardi, ma una cappa di piombo grava addosso in questo che è veramente un carcere all'aperto...

La vita confinaria assume tutt'altro aspetto di quello che aveva ad Ustica. Non più scuola di "filosofia", non più "società della nafta",  non più conversazioni nella barberia confinaria che terminavano con una generosa spruzzata di "acqua della colonia".

La sola passeggiata da automi sull'arco di cerchio della via principale, percorsa da uyn capo all'altro cinquanta volte al giorno, ove si incontravano cinquanta volte le stesse persone che facevano come noi.

Le stesse mense dei vari gruppi, servivano solo a soddisfare le necessità della vita fisica di chi le frequentava, ma non erano più quei cenacoli politici vivaci che avevo osservato a Ustica."

Ed ancora Adriano Benini:

"Non ci lavavamo per mancanza d'acqua anche se era assurdo, perchè si era a quattro passi dall'acqua e non si poteva fare il bagno.

Chiedemmo di poterlo fare, ma la risposta fu negativa anzi fu accompagnata da un arresto e tre mesi di carcere solo per averlo chiesto.

Fu anche chiesto il diritto di poter studiare apertamente la storia del nostro paese ecc. e non in modo clandestino come si era costretti perchè ogni tanto qualcuno andava a finire in carcere condannato a 5 - 6 mesi solo perchè non voleva essere analfabeta. Queste rivendicazioni erano seguite da agitazioni che noi conducevamo chiudendoci nei cameroni, rifiutando di uscire e di mangiare.

Una volta tutti e 400 fummo arrestati e portati nel carcere dell'isola.

Fummo processati immediatamente con una rapidità di 1 o 2 giorni al massimo e condannati a 12 e 13 mesi di carcere, solo per aver chiesto di studiare. 

Tuttavia, durante i miei sette anni passati in quell'isola, quello che mi ha più colpito è stata l'unità e la solidarietà che regnava da noi.

Si subivano, non raramente, torture tali che, ricordo, una volta un confinato di Milano morì.

Egli era in mezzo a due carabinieri quando scese dal piroscafo sull'isola di Ponza; camminava malamente, ciò significava che durante il viaggio era già agonizzante, infatti appena gli furono levati i ferri dai polsi, morì.

Queste furono cose di tutti i giorni per la questura fascista che torturava, bastonava.

Di conseguenza molti erano gli ammalati di tubercolosi, ridotti così dalle bastonate dei manganelli, i quali non lasciavano segni ma sconquassavano all'interno tutto l'organismo...."

"...Nell'isola di Ponza la maggioranza dei confinati erano del partito comunista perchè quest'ultimo fin dal principio si era posto di continuare la lotta degli operai, anche se ciò costava anni di carcere, di confino, di sacrificio della propria vita.

Quindi anche al confino erano pochissimi i socialisti, i repubblicani, gli anarchici.

C'era qualche minoranza di slavi.

Anche se stranieri, i rapporti con loro erano ottimi perchè fra noi vi era un'unità determinata dalla necessità della lotta contro il nazifascismo. 

A volte i fascisti cercavano d'intrufolarsi all'interno della nostra vita, travestendosi da confinati ma poi si smascheravano da soli perchè si rifiutavano di portare dei bottiglioni di 12 Kg. sulle spalle, di spaccare la legna, di fare il cameriere, il cuoco, insomma tutti i lavori pesanti e difficili.

Quando scoprivamo questi elementi provocatori mettevamo un cucchiaio di sale in più nella minestra, rendendola non mangiabile, dopo ciò essi capivano tutto e se ne andavano col primo piroscafo. 

Ricordo che avevamo la possibilità di raggiungere un prato che chiamavamo della miseria perchè non vi cresceva un filo d'erba, dove ci sedevamo malgrado che da ogni lato uscisse, dai camini delle abitazioni, un gran fumo.

Questi prati della miseria erano scavati nella roccia, dove gli isolani di Ponza vivevano la loro vita."

(Notizie e foto sono tratte dal libro di Antonio De Vito "Il sovversivo col farfallino Destinazione Ponza")


Le foto segnaletiche di Giuseppe De Vito, sovversivo col farfallino


Giuseppe De Vito in una cartolina postale spedita a casa, luglio 1936


Giuseppe De Vito a Ponza, 1929


Corso Pisacane, "Il Corso dei passi perduti" dei confinati


Il camerone dei confinati

mercoledì 19 marzo 2025

martedì 18 marzo 2025

19 marzo, festa di San Giuseppe

 All'isola di Ponza, nella frazione di Santa Maria, si festeggia San Giuseppe dove a due passi dalla spiaggia c'è una chiesa che è un gingillo, un amore, tenuta benissimo, dedicata proprio al Santo.

La chiesa di San Giuseppe fu costruita sul terreno donato da Pietro Mazzella detto "Pietr uapp", ma pare che già nel 1228 esistesse una chiesa a Santa Maria.
 Infatti il "Codex Cajetanus", riporta, sotto la data del 1 dicembre 1228, l'accettazione da parte di Leone, prete della chiesa di Santa Maria, nell'isola di Ponza, di un legato a favore di detta chiesa fatto da D.Maria Gattola (fonte: Fabrizio M.Apollonj Ghetti "L'arcipelago pontino nella storia del Medio Tirreno")
La prima pietra venne benedetta il 4 marzo 1828, dal vescovo di Gaeta Monsignor Parisio ma i lavori furono interrotti dall'improvviso crollo del tetto.
E pensare che gli abitanti di quella zona ci tenevano tanto alla loro chiesa, avevano trasportato le pietre durante i lavori per costruirla.
Il 15 novembre 1886, dopo aver sperato inutilmente che riprendessero i lavori, gli abitanti di Santa Maria e dei Conti mandarono una petizione al papa Leone XIII chiedendo un aiuto.
Già in quella petizione scrivono di San Giuseppe come Protettore.
Fanno presente che la chiesa di Ponza Porto è distante e durante l'inverno non riuscivano ad andare a Messa.
Finalmente i lavori della chiesa ripresero ed il 21 giugno 1895 venne consacrata dal vescovo di Gaeta.
Venne affidata al sacerdote don Antonino Conte, anche lui si era prodigato scrivendo una lettera al Re chiedendo il completamento  della chiesa. E poi ancora don Aniello Conte, nipote di don Antonino Conte, di cui ho già raccontato in altri post.
Per molti anni è stato parroco della chiesa di Santa Maria don Salvatore Tagliamonte.

Il 19 marzo è anche la festa del papà
Auguri a tutti i papà, anche a quelli che non ci sono più

Le foto sono di Rossano Di Loreto, marzo 2024

















domenica 16 marzo 2025

Reportage dal confino

 Negli anni '30 il fotografo Stefano Bricarelli venne inviato da Mussolini all'isola di Ponza per documentare il modo di vivere dei confinati.

Doveva realizzare un servizio fotografico per la rivista Life e mostrare agli americani che il confino non era un Gulag. La rivista americana però poi non pubblicò il reportage.

Il fotografo doveva mostrare la parte bella del confino ma, purtroppo, non era così come leggiamo dai racconti dei confinati. 

Gli stessi militi fascisti, nelle lettere ai familiari, definiscono il confino la "vita da cani", "fuori dal consorzio umano" in cui erano costretti.

Altro che "villeggiatura", i confinati quotidianamente subivano angherie, vessati, alcuni venivano pedinati tutto il giorno.


Antifascisti confinati a Ponza al controllo quotidiano obbligatorio di polizia


Il capoluogo dell'isola


Due intellettuali dal balcone del loro alloggio


Un confinato (in secondo piano) al lavoro in un piccolo cantiere nautico


Altri che aggiustano reti da pesca


Un confinato affacciato sul porticciolo di Ponza 


Un confinato nella sua camera


Confinati nell'unico bar del paese per un caffè


Un internato mentre dà il mangime ai polli del suo allevamento



Il loro circolo di lettura per lo la lettura dei quotidiani


Confinati in una via di Ponza, 1938


La rivista  "STORIA" pubblicata nel 1987 da cui ho tratto il reportage del fotografo Stefano Bricarelli


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