venerdì 28 ottobre 2022

U summe u pertuse

 Questo racconto è tratto dal libro di Ernesto Prudente "ALFAZETA Voci del dialetto ponziano".

Ecco le sue parole:

"In uno di quei soliti pomeriggi estivi degli anni sessanta, attraversavo la banchina Di Fazio diretto in piazza. Sul banchetto della pescheria di Giosuè, Peppe u ruosse, Peppe il grande, per distinguerlo dal cugino, Peppe u pitte, Peppe il piccolo, armeggiava intorno ad un pezzo di lamiera. I due Peppe erano soci della Francesca Maria, una barca che avevano adibita a cianciola. Eravamo e siamo amici. Mi fermai e gli chiesi cosa stesse facendo. "Sto facendo un cappellone per nascondere la luce della lampara. Questa sera andremo "ncòppe u summe u pertuse". Peppe il piccolo, è stato questa mattina con il frontonese a prendere i segnali di allineamento."

"U summe u pertuse" è una secca che si trova a due miglia a nord della punta di ponente di Zannone. Era una secca sconosciuta alla totalità dei pescatori isolani. La conoscevano, e la frequentavano, soltanto il maresciallo di Frontone, un vecchio sottufficiale della marina militare, che è andato in pensione nel 1920 e, ha goduto di questa pensione fino al 1992 anno della sua morte, a centodue anni, e il frontonese, un abitante di Frontone. Di quei tempi, quando le barche non erano ancora fornite delle attrezzature moderne, "u summe u pertuse" era considerato come il pianeta Marte. Si sapeva della sua esistenza ma nessuno sapeva come arrivarci. L'idea mi entusiasmò e subito manifestai a Peppe la mia presenza a bordo quella sera. 

Perchè il cappellone, perchè nascondere la luce? 

Peppe mi disse che diverse lampare di Terracina venivano tutte le sere a pescare nelle acque di Ponza e far conoscere loro la posizione del "summe u pertuse" significava trasferire la proprietà".

Ero emozionato quando la Francesca Maria si mosse dalla banchina del porto di Ponza e con me lo erano tutti, compreso Peppe il piccolo che era il capopesca.

Andavamo verso l'ignoto.

Come superammo la Cala del Mariuolo, la punta di ponente di Zannone, Peppe diresse la prua verso la secca della ghiaia dove lasciammo, facendole dare fondo, una delle due barchette, ognuna con una lampara, di cui era dotata la Francesca Maria e che le teneva a traino. In coperta poi aveva un piccolo canotto, talmente piccolo da non  poter imbarcare più di tre persone. Ritornammo verso ponente per avere di poppa uno dei segnali di rilevamento. 

La Francesca Maria aveva un motore senza frizione per cui non poteva andare indietro. Il motore si ingranava solo con la marcia avanti. Fermarsi sul "comignolo" di uno scoglio era appannaggio solo di Peppe.

Per tutto il tragitto ero a poppa a fianco di Peppe il piccolo. L'altro Peppe, il grande, era su una delle due luci, così si chiamano le barche con la lampara, e armeggiava ancora attorno al cappellone. 

Sul sedile di poppa Peppe teneva anche la bussola, cosa mai notata prima e in altre circostanze. Peppe mi teneva informato di ogni e qualsiasi manovra. Camminavamo, così dicono i pescatori, sulla scia del segnale del dritto di poppa. Il faro della Guardia ad un passo di larghezza dalla punta del Mariuolo di Zannone. L'altro segnale doveva ancora apparire e apparve, sempre secondo Peppe, quando eravamo a due miglia da Zannone. Peppe fece sgranare l'elica e la Francesca Maria proseguì con l'abbrivo. Peppe osservava le rocce di Zannone come un subacqueo scruta, con la pila, l'interno di una tana.

Fece mettere in acqua un canottino, dove, su invito di Peppe, presi posto con Vincenzo Costanzo che ora vive a New York. Lo scandaglio che avevamo era un grosso pezzo di piombo, pesante, a mio parere, dai cinque ai dieci chili, legato da una lunga cordicella. Ci fece spostare di circa venti metri più a nord dalla posizione della barca quando diede ordine di calare lo scandaglio. Vincenzo lo calò e la corda, richiamata dal peso, scivolò fino ai settanta metri. Peppe traguardava il segnale di rilevamento su Zannone. L'altro, il cui punto era il faro della Guardia, era di facile accesso. Ci fece spostare ancora di una decina di metri e Vincenzo ripetè l'operazione. Questa volta, però, la corsa del piombo verso il fondo venne arrestata dall'incontro con la cima della secca. Vincenzo nel ritirare il peso misurò le bracciate: ventotto.   A bordo tutti applaudirono. Fu una festa. Avevamo scoperto un nuovo pianeta.

Peppe il grande con la sua barca si portò vicino al canotto e diede fondo. L'ancora della sua barca, come il piombo precedentemente, si posò sulla cresta dello scoglio. Dimenticavo di dire che Vincenzo, nel tirare lo scandaglio, portò a galla due nassòtte. Si erano spezzate e in una c'erano due saraghi. La Francesca Maria rimase nei paraggi della barca con la luce, non ancora accesa, perchè nei dintorni di Gavi si erano appostate le barche di Terracina e una di queste ad un certo punto si diresse verso di noi. Peppe allora diede ordine all'altro Peppe d salpare e di dare la cima di rimorchio per essere traghettato sulla secca della Ghiaia. Guardai la rotta sulla bussola e guardai l'ora sul mio orologio. Annotai nella memoria anche la sistemazione di alcune stelle alle mie spalle.

Quando Peppe , sulla secca della Ghiaia, diede ordine di fermare il motore, erano trascorsi undici minuti. La barca terracinese scandagliò quella zona per più di un'ora. Sapevano della secca d'u summe u pertuse ma non riuscendo a trovarla presero il cammino per Palmarola. Quando le luci si persero all'orizzonte chiesi a Peppe di ritornare sulla nostra scoperta. Peppe fece presente che di notte, non vedendo il segnale di Zannone, la cosa sarebbe stata impossibile. Replicai che ero a conoscenza, da dove ci trovavamo, della rotta della bussola e del tempo di navigazione ed anche della posizione di alcune stelle che avevo attentamente osservato.

Per farmi contento, non mi ha mai detto no ad una qualsiasi richiesta, facemmo la navigazione inversa. Seguivo la bussola e le stelle come un Noè moderno. Al decimo minuto feci fermare il motore e procedemmo con l'abbrivio. Fu Peppe  il grande a calare in acqua l'ancorotto della sua barca e al primo affondo si trovò sulla testata della secca. U summe u pertuse ci era diventato familiare. Gioimmo più di prima.. Facemmo tutti, un giro panoramico con lo sguardo per vedere se ci fossero luci straniere. Buio pesto, totale e completo. Peppe accese la sua luce con il cappellone intorno. Era impossibile notarla da lontano. Ma il fondo lo illuminava e come. 

L'equipaggio si rifugiò, come era uso, sottocoperta. A poppa rimanemmo solo Peppe ed io. Eravamo in attesa dell'altro Peppe che non tardò a venire. "Viène a murate e porte Ernesto". Salimmo sul canotto e ci portammo nelle vicinanze della luce. Che cosa si presentò ai miei increduli occhi: squadroni di lacièrte, ordinati e composti, come reparti di militari ad una rivista di parata, guazzavano nel mare calmo d'u summe u pertuse. Ritornammo subito a bordo dove Peppe chiamò tutti in coperta. Sul canotto  dove prese posto Vincenzo, era il suo posto di combattimento, venne subito lanciata la cima della stazza della rete. Quando Peppe il piccolo, dopo conciabolo sulla corrente con il cugino, emise il comando. molla, la rete scivolò sulla murata della barca verso il mare. Alla distanza che ritenne giusta attonnò e la Francesca mise la prua sul canotto dove Vincenzo aveva acceso, per farsi notare, una lampada a petrolio.

I lacièrti vennero accerchiati e subito venne tirato a verricello il cavo che, attraverso una serie di anelli, serviva a stringere la parte bassa della rete. La rete diventava un grande sacco, aperto solo in superficie, Peppe il grande, u luciaiuolo, era con la sua barca al centro della rete ed ad un certpo momento dopo una attenta osservazione, lanciò il grido che tutti aspettavamo: "stanne a inte", stanno dentro, li abbiamo accerchiati.

Il recupero della rete avvenne con lena, vigoria e entusiasmo. Si voleva far presto per imbarcare il pesce sulla nave in partenza alle quattro e mezzo per Formia. Sarebbero arrivati sul mercato ventiquattro ore prima e freschi. E con la stessa sollecitudine e solerzia venne fatto uso del coppo. In pochissimo tempo la rete venne svuotata e la coperta della Francesca Maria disseminata di pesce fino all'orlo. Per non traboccare riempimmo una ventina di casse che depositammo sull'osteriggio del motore. Diversi marinai presero posto sulle barche delle luci.

Arrivammo in porto in tempo utile da incassettare il pesce e trasferirlo sull'isola di Ponza, la nave di collegamento con Formia."

Una storia di pesca ponzese!!!



La barca Francesca Maria nel porto di Ponza


Una barca carica di cassette di pesce

(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)






Isola di Zannone, agosto 2020




Isola di Zannone, agosto 2019

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