Mino Maccari, giornalista della Stampa, nel settembre del 1929, giunse a Ponza per raccontare del Confino.
Ecco cosa scrive mentre si appresta a giungere a Ponza: "Il Giannutri, il piroscafo che fa servizio da Napoli e da Gaeta per le Isole Pontine, carico com'è da poppa a prua di provviste domestiche, non ha l'aria nè la pretesa di somigliare lontanamente alla barca di Caronte. Lasciando il molo napoletano della Immacolatella Vecchia, si direbbe di essere diretti verso qualche mercato o verso qualche allegro fierone di provincia, pittosto che verso il "bagno penale" di Santo Stefano o verso il "confino di polizia" di Ponza.."
Arrivato a Ponza scrive:
"...La sorpresa, da parte mia, è stata ancora maggiore, quando, lungo il muro roseo del molo verso il Comando della Dogana, mi sono sentito apostrofare da una voce energica e cortese, che mi ha chiamato col mio nome e cognome, preceduti regolarmente dal mio legittimo titolo accademico; con tanta sicurezza, come se fossi stato un vecchio frequentatore o noto personaggio di Ponza, e proprio nel momento che ci mettevo il piede per la prima volta..."
Così descrive Ponza:
"...L'isola di Ponza, così piccola com'è, par quasi che si trovi un pò a disagio nel mezzo del mare. Si direbbe- e l'immagine, benchè trita, può in questo caso prestarsi ottimamente da simbolo- una pecorella che si sia allontanata troppo dall'ovile sicuro del golfo di Gaeta: ora deve sopportare, senza ripari, le furie e i capricci dei venti, che quando si svegliano, la circondano, la percuotono e la percorrono tutta da tutti i lati; si infilano tra collina e collina, s'accaniscono in vorticosi mulinelli contro le insenature delle rocce e nè piccoli innumerevoli golfi onde è frastagliata e incisa la costa come se volessero scalzare, sradicare, sollevare e capovolgere questo povero scoglio, innocente e pur carico di tanta malizia.
Ma nella lunga stagione estiva- autunno e primavera si confondono, diventano estate, una prepotente, una indugiante estate- l'isola rimane covata dal sole, e cielo e mare, la chiudono in un globo di luci. Nella rapida mia prima visita all'isola, ho potuto ammirarla nel pieno sfolgorio dei suoi colori, da Ponza, che ne è il capoluogo, fino alle Forna, un gruppo di case bianche, rosa, azzurre, sparse sul corno opposto della mezzaluna, che dà forma allo scoglio.
La cittadina di Ponza, che si raggruppa e si affaccia a rispecchiarsi sul placido e limpido mare del suo porto, è sorretta da un lungo, arcuato bastione, sul quale si snoda l'unica strada, veramente tale, del posto, e chiamata, in omaggio a questa sua singolarità, il "Corso". Si va su e giù per questo Corso come il bordo di un piroscafo; e veramente Ponza fa pensare, a chi la percorra, di trovarsi nel ventre di una nave scaraventata sulla riva da qualche tempesta, e indurita, cotta e pietrificata dai venti, dal sole e dal vento. Per entrare nell'interno del paese occorre arrampicarsi per gradinate che sembran sartie di ciottoli e di mattoni: erti sottopassaggi, dai corridoi ai ballatoi fra casa e casa, sboccano, come trombe a vento, al Corso; il piazzale presso il vecchio Castello, sembra una tolda. E' un divertente laberinto, complicato, nelle ore notturne, dalla luce elettrica, che lo riempie di giochi luminosi e d'ombre sagomate.
Una strada inaugurata da poco conduce da Ponza per tutto l'isolotto, fino al villaggio delle Forna, dove ho visto, tuttora abitate, alcune case trogloditiche. I dorsi delle colline, senza un albero, sono solcati da innumerevoli gradinate concentriche, che sorreggono filari di viti a fior di terra; mi fanno pensare alle "curve di livello" delle carte geografiche. Su questo fondo monotono e smorto, come su una tavolozza imbarcata, cantano festosamente, qua e là, le graziose casine dai vividi e sgargianti colori o candide da abbacinare la vista. Ognuna d'esse, in un luogo del tetto, possiede la sua cupoletta, che serve a raccogliere l'acqua piovana, di cui l'isola è sitibonda. Gli enormi, gesticolanti fichi d'India, dai tronchi nani e contorti, mettono una robusta nota di verde intenso, raccolgono un pò d'ombra, a contrasto di quelle tinte sfacciate e squillanti; e, intorno, il mare immenso, a perdita d'occhio, un silenzio, una pace, che turbano e pesano; come se la vita si fosse fermata agli orizzonti. Il "senso dell'isola" incombe.
Intorno a Ponza sonnecchiano due isolotti, Palmarola, disabitata, dove il santo protettore, che è naturalmente un confinato anche lui, papa Silverio, ha pensato bene di trascorrere in perfetta solitudine i suoi ultimi giorni; e Zannone, la cui popolazione è costituita da fanalista e dai più stretti congiunti."
Il traghetto che trasportava passeggeri e merce da Napoli
Un'immagine dall'alto dell'isola di Ponza, credo, anni '20
La Ponza descritta da Maccari
Panorama di Ponza dal Parco della Rimembranza
Le case che circondano il porto
Corso Principe di Napoli
Il vecchio Castello citato da Maccari (La Torre dei Borboni)
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
Nota:
Mino Maccari si reca anche nella trattoria Italia il cui proprietario è il signor Verde, ex maresciallo della Regia Marina. La trattoria è ubicata sul declivio della collina raggiungibile "salendo dunque le tre rampe di erte scale che, mi si permetta l'espressione, bucano il ventre di Ponza, attraversandone i tre strati di case che si distendono, uno addossato all'altro."
Sarei curiosa di sapere dove si trovava questa trattoria.
Sono curiosa a sapere quale era il primo nome del signor Verde. Il fratello della mia mamma era un maresciallo e' si chiamava Luigi Verde .
RispondiEliminaPuò essere che il signor Verde appartenesse alla famiglia di tua madre, ho chiesto in giro per Ponza ma nessuno mi ha saputo dire qualcosa al riguardo. Ho saputo che la trattoria Italia si trovava sul Giudicato
EliminaFORSE ERA LINDA VERDE
RispondiEliminaNon credo sia Linda Verde perchè Maccari racconta del 1929
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