Questo frammento di Ponza l'ho trovato nella pagina di "Velisti in Facebook" in cui Luciano Piazza racconta l'isola fuori stagione, precisamente in novembre. Ha soggiornato, con la sua barca, a Ponza ed ha scattato anche delle belle foto che ho allegato al post.
Eccolo:
CHIUSO PER NON FERIE
Il clangore dell'ancora del traghetto, che lasciata cadere di peso trascina la sua grossa catena a maglia rinforzata e la fa scorrere nell'occhio di cubia, desta il porto dal torpore autunnale. Il grosso mezzo ruota su se stesso al centro del bacino, davvero a pochi metri da Piazza Grande ormeggiata sul molo opposto, e con un breve ruggito del motore e il ribollio delle acque intorno porta la poppa in banchina. La manovra provoca una vibrazione che che si ripercuote sulla mia piccola imbarcazione facendo stridere le cime di ormeggio al ritmo della risacca.
La pioggia ha cessato da poco di cadere, il cielo è ancora grigio ma piccoli squarci di azzurro in lontananza promettono momenti di sole nelle prossime ore. La temperatura, comunque, è mite già così. Il basolato del molo, sgombero di persone come mai in estate, è ricoperto da un sottile strato di acqua che qua e là forma qualche piccola pozzanghera. Due uomini in divisa parlano tra loro di fronte ai mezzi navali dei rispettivi corpi di appartenenza, ingannando forse il tempo nella vacuità di incombenze urgenti.
Le isole minori hanno due volti: quello estivo, vacanziero e confusionario, e quello invernale, silenzioso, taciturno, quasi letargico. Andarci fuori dalla stagione turistica, un tempo ne offriva un'immagine arcaica dove emergevano stili di vita ancestrali che il clamore non permetteva di notare. Si potevano ritrovare ritmi di vita più lenti di quelli cittadini o apprezzare le piccole cose, come perdersi in chiacchiere con un locale che disponeva in abbondanza di quella ricchezza che chi vive in città non ha più: il tempo. E con esso la volontà e il piacere di donarlo a un forestiero.
Negli ultimi decenni il turismo - e tutto ciò che gli ruota attorno - ha soppiantato qualunque altra attività economica, e le piccole isole si sono ritrovate così a vivere ogni anno tre mesi di frenesia e nove di attesa che sconfina a volte nella noia. La pesca, complice anche il depauperamento degli stock ittici, è stata abbandonata quasi ovunque e spesso è tenuta in vita dall'ostinazione di alcuni appassionati, ridotta a mera testimonianza del passato. Altre attività, generalmente, nelle isole molto piccole se ci sono sono storicamente sempre state marginali.
Il paese è quasi completamente serrato. La sfilza interminabile di pub, ristoranti, bar, pizzerie e quant'altro ha le saracinesche abbassate e gli ingressi sprangati. Le pergole antistanti, senza tavoli né sedie risposti per proteggerli dalle intemperie, appaiono ingombranti e inutili di fronte al mare. I pochi esercizi commerciali aperti operano a regime ridotto. Tra questi, un paio di negozi di alimentari, la farmacia, un ferramenta, una piccola rivendita di materiale edile: in pratica quelle stesse attività che durante il lockdown sono state le uniche lasciate aperte dal governo perché ritenute indispensabili per la sopravvivenza.
Il destino di questi luoghi, tanto preziosi quanto fragili, sembra ormai segnato, al pari di quello di tanti centri storici delle città italiane: la loro bellezza è anche la loro condanna, perché una politica avida e miope li ha trasformati, o ha lasciato impunemente che si trasformassero, in parchi a tema dove l'elemento umano e sociale è stato messo stupidamente a margine. Un'isola, una citta, un qualunque posto, esistono in quanto tali quando le persone ci abitano, li animano, gli conferiscono un'impronta caratteriale propria, non quando si limitano a inscenare uno spettacolo stagionale per gli avventori
In mancanza di questo, tutti i luoghi finiscono per somigliarsi e alla prima crisi del turismo, come si è visto a volte durante la pandemia, appariranno come la maschera triste di uno show senza più spettatori. Ribellarsi alla trasformazione del mondo in una Disneyland globale vuol dire salvare i luoghi e consegnarli vivi alle generazioni future.
Rientro a bordo dopo aver fatto un po' di spesa al supermercato. Sul corso quasi deserto un paio di persone che camminano in senso opposto al mio mi scrutano curiose: le buste della Conad mi indicano implicitamente come uno che abita qui e loro sembrano domandarsi chi sia quest'uomo sconosciuto che ha sull'isola un posto dove cucinare, quindi una casa. I nostri sguardi si incrociano: ricambio il sorriso e il cenno di saluto, anche se la mia casa in questo momento è il mare.
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