Oh magica luna ..
Frammenti di Ponza
racconti e altro sulle isole Ponziane...
venerdì 4 luglio 2025
Il disegnatore di Lune e Ponza
mercoledì 2 luglio 2025
Abbasce a Funtàne
All'isola di Ponza, a Le Forna, in località Cala dell'Acqua, c'era la sorgente Tagliamonte che riforniva l'acquedotto romano.
Quell'acqua veniva prelevata anche da molte persone come ci racconta Salvatore Balzano (Ciciotto) nel suo libro "Navigando la vita".
"...La sera andava, insieme ad altre donne a rifornirsi di acqua alla fonte sorgiva, che stava a Cala dell'Acqua, che le occorreva per bere e che conservava in bottiglioni di vetro e damigiane impagliate.
L'acqua del pozzo non veniva usata per dissetarsi perchè essendo acqua piovana era dura ed era adatta per cuocere i legumi ed era priva di sali minerali e non aveva quei requisiti igienici buoni, perchè il vento, la polvere e il terriccio che si depositava sui tetti con gli escrementi degli uccelli la rendevano non potabile.
Tutte le persone di Le Forna andavano ad attingere l'acqua alla Fontana che era un vero e proprio rito con schiere di persone che scendevano e salivano le scale che dalla strada portavano alla sorgente, che aveva un flusso che non si interrompeva nè di giorno nè di notte e molta acqua si perdeva nel mare sottostante. Tutti muniti di recipienti a turno prendevano l'acqua e facevano attenzione a non scivolare sul muschio che si formava alla base della stessa per non cadere sulle rocce taglienti degli scogli.
La lontananza dalle abitazioni poste anche a diversi chilometri non scoraggiavano i tanti e così donne, uomini e bambini creavano enormi processioni. L'acqua della sorgente era leggera, fresca e limpida, ma in seguito fu dichiarata non potabile a causa della costruzione delle condotte fognarie che potevano inquinare le falde acquifere e per l'emanazione di leggi più severe riguardanti l'igiene alimentare. Fino ad allora aveva dato da bere a tante persone senza mai causare problemi a nessuno dal punto di vista sanitario."
Cala dell'Acqua, qui c'era l'antica sorgente (Foto di Rossano Di Loreto)
Ragazza attinge acqua dalla "fontana" di Cala dell'Acqua
domenica 29 giugno 2025
San Silverio a Golfo Aranci
A Golfo Aranci, in Sardegna, c'è una comunità ponzese che ogni 20 giugno, festeggia San Silverio.
E' una festa tramandata dai pescatori ponzesi che nel secolo scorso si stabilirono a Golfo Aranci portando le loro tradizioni e la devozione verso San Silverio.
Quest'anno al termine della processione è stata offerta la zuppa di pesce che, un tempo, i pescatori ponzesi consumavano sulle loro barche. Gli abitanti di Golfo Aranci non hanno alterato l'autenticità del piatto ponzese.
venerdì 27 giugno 2025
Carlo e Giuseppina
Sono molte le storie d'amore tra ragazze ponzesi e confinati dal regime fascista all'isola di Ponza.
Ogni storia è diversa dall'altra ma tutte piene di sofferenza e consapevolezza.
Questa è la storia di Giuseppina Bosso, ponzese, e Carlo Fabbri, confinato ed è tratta dal libro Zì Baldone di Silverio Corvisieri.
"Insieme a Maria Vitiello, Giuseppina Bosso è forse la ragazza di Ponza che si spinse più avanti di qualsiasi altra, ben al di là della piena solidarietà al proprio uomo perseguitato dal fascismo. Divenne ella stessa una militante forte e consapevole, decisa a lottare fino in fondo , anche fino alla morte. Lo si vide con chiarezza già nel 1935 quando una tempesta repressiva particolarmente maligna si abbattè sui confinati e sulle donne ponzesi che li avevano sposati. L'intera famiglia Bosso fu presa di mira e sconvolta..."
"...Carlo Fabbri, pubblicista e tipografo, era stato arrestato nel 1931 per l'aver progettato la preparazione e la diffusione di un manifestino di propaganda. Soltanto progettato! Per la polizia fascista andava comunque punito perchè era "un accanito antifascista, capace di accettare di buon grado incarichi delittuosi ai danni del Regime". Nel 1935 fu nuovamente arrestato a Ponza per aver partecipato alla lotta dei confinati e quindi condannato a dieci mesi di carcere da scontare a Napoli. Quando potè tornare sull'isola chiese a Giuseppina - già colpita dall'ammonizione - di sposarlo al più presto. Fu come gettare in faccia alle autorità un guanto di sfida. Da un giorno all'altro lo strapparono dalla moglie e lo spedirono alle Tremiti. Giuseppina, in dolce attesa, invano chiese di poter seguire il marito. Le negarono il permesso perchè non aveva dato "segni di ravvedimento", cioè non si era piegata al ricatto poliziesco tendente a trasformarla in una collaboratrice, in una spia e, quantomeno, in una persona capace d'indurre il marito ad arrendersi al fascismo. Rimasta a Ponza e alle prese con una gravidanza che presto apparve molto difficile, la donna si ammalò in modo preoccupante. Le fu perciò consentito dopo molti mesi di recarsi alle Tremiti. Il viaggio aggravò le sue condizioni tanto che, appena arrivata in quelle isole e riabbracciato Carlo, dovette essere ricoverata d'urgenza nell'ospedale di Foggia dove partorì prematuramente una bimba cui venne dato il nome di Teresa.
Tornata alle Tremiti Giuseppina, pur nelle pesanti condizioni economiche che rendevano ardua la sopravvivenza, conobbe qualche mese di serenità. Ma durò poco perchè nel luglio del 1937 suo marito fu di nuovo arrestato. Questa volta la sua "colpa" era di essersi rifiutato di fare il saluto fascista come invece il direttore della colonia pretendeva. Gli fu inflitta una condanna a un anno e sei mesi di reclusione e altri dieci di arresto. Con l'occasione si scoprì che anche Giuseppina era un "elemento non desiderabile" da rispedire immediatamente a Ponza..."
"...Seguirono altri anni tormentati. Altri trasferimenti, altre angherie, altre sofferenze. Il 25 luglio colse Giuseppina e Carlo a Ponza dove festeggiarono con entusiasmo la caduta di Mussolini. La donna, nuovamente incinta, avrebbe voluto prolungare quella parentesi di felicità ma Carlo fu inflessibile nel proposito di abbandonare l'isola e raggiungere i suoi compagni che in continente stavano riorganizzando il partito comunista. Egli non si faceva alcuna illusione circa le intenzioni dei tedeschi di reagire occupando l'Italia e perciò riteneva un dovere assoluto la partecipazione alla guerra di liberazione nazionale che ormai si profilava come ineluttabile. Giuseppina lo supplicò di aspettare almeno qualche giorno anche perchè l'unico piroscafo che collegava Ponza a Gaeta e Napoli era stato affondato e non sostituito. Di fronte alla fermezza del marito la donna decise di seguirlo. S'imbarcarono il 23 agosto sul motofrigorifero "San Giuseppe" per tentare di raggiungere Terracina e di qui partire per il Nord. Arrivata a 8 miglia dal Circeo la barca s'incagliò su un cavo che collegava una mina all'altra, e subì una brusca inclinazione. In un baleno si diffuse il terrore e 15 delle 22 persone che erano a bordo si gettarono in mare temendo un'improvvisa esplosione. Carlo Fabbri, che non sapeva nuotare, rimase sulla barca mentre sua moglie, in preda a una grande agitazione, si teneva a galla senza allontanarsi. I soccorsi tardarono ad arrivare. Due militari ponzesi, Salvatore Scotti e Raffaele Nocerino non furono più trovati. Il freddo e lo spavento danneggiarono la già fragile salute della donna. Furono comunque salvati e poterono raggiungere l'organizzazione di partito alla quale era stato destinato Fabbri, a Cannobio, in provincia di Novara. Carlo fu tra i primi a prendere le armi dopo l'invasione tedesca e la proclamazione della Repubblica di Salò. Giuseppina, sempre più malata, all'ottavo mese di gravidanza, fu ricoverata in ospedale per una improvvisa rottura delle acque: morirono lei e la nascitura. Fabbri dopo un breve periodo trascorso in Svizzera, divenne commissario politico di una formazione partigiana e fu tra i protagonisti della Repubblica dell'Ossola, territorio provvisoriamente liberato e governato dalle forze antifasciste; quando i fascisti contrattaccarono in forze, Carlo si trovava con pochi compagni nella sede del comando partigiano a Cannobio dove erano custoditi documenti che non dovevano assolutamente cadere nelle mani del nemico. Cercò insieme ai suoi di resistere al fuoco fascista quanto più tempo possibile; contemporaneamente bruciò le carte compromettenti. Alla fine Carlo Fabbri pur di non essere catturato e torturato con il rischio di non farcela a resistere e di danneggiare così la Resistenza preferì darsi la morte ingoiando la dose mortale del veleno che portava sempre con sè."
Qualche mese prima di morire Carlo Fabbri scrisse una lettera, un testamento alla figlia Teresa ecco le parti più salienti:
"Mia cara piccola
, se non tornassi, sappi che sono morto per la libertà del popolo italiano e per la vittoria dei lavoratori di tutto il mondo. Ricordati, e ripensaci quando avrai più anni, che la mamma ed io abbiamo sempre lottato pensando a te; per assicurarti un domani senza fame, senza oppressione e senza guerre. Per evitare a te le umiliazioni, che ha subito in vita la mamma da parte dei fascisti e della polizia.
La tua povera mamma è stata una martire. Io ho fatto meno del mio dovere e sono stato spesso inferiore al mio compito; la mamma invece ha fatto molto di più di quello che ci si aspettava da lei.
Venera la sua memoria. Ti ha voluto molto bene. Studia!...
Il domani ha bisogno di ingegneri e di medici: se puoi mettiti a studiare queste materie. Sii degna di tua madre, che amò, ma non fu una bambola: ella fu innanzitutto una lavoratrice e una combattente...
Addio, 1944, tuo padre"
Quanta sofferenza!!!
mercoledì 25 giugno 2025
San Silverio, l'incendio e i dollari bruciati
Noi ponzesi amiamo il nostro San Silverio, guardando la statua del Santo è come se guardassimo nostro padre. Dobbiamo conservarla con amore.
Questo episodio che sto per raccontare è giunto a noi grazie alla testimonianza di alcuni confinati presenti sull'isola.
Verso la metà degli anni '30, il 20 giugno, scoppiò un incendio in chiesa forse provocato dai ceri accesi. La statua di San Silverio rischiò di essere danneggiata seriamente dal fuoco. Bruciarono le banconote di dollari donate dai fedeli giunti dagli Stati Uniti che erano ancora attaccate alla statua dopo la processione.
Ma abbiamo anche la testimonianza di Walter Audisio che così scrive: "...Povero S.Silverio! Lo vidi all'indomani, nudo come un verme, affumicato e bruciacchiato, nello studiolo che il compagno Giorgi, aveva allestito in una stanzetta al "prato della miseria". Era con lui il compagno Callegari di Milano, fine stuccatore, dediti entrambi a ripristinare le soavi fattezze del vecchio Santo barbuto e a far sparire le tracce che il fuoco pareva aver lasciato sulla sua corruscata fronte"
La statua di San Silverio dopo un restauro