Il sovversivo col farfallino era Giuseppe De Vito confinato dal regime fascista all'isola di Ponza.
Un ragazzo del 1899 che venne chiamato a difendere la Patria durante la prima guerra mondiale.
Era un ebanista, originario della provincia di Foggia, antifascista e comunista che venne mandato al confino prima ad Ustica poi a Ponza.
Si veniva inviati al confino per cose banali come una scritta su un muro, per un fazzoletto rosso, per aver cantato una canzone...
Mentre era a Ponza l'ebanista Giuseppe De Vito, insieme ad un altro confinato intendeva mettere in atto un deposito di casse da morto ma non so se ci riuscì.
Come vivevano a Ponza viene descritto dal confinato Alfredo Misuri:
"Il paese è grazioso e panoramico; la vita è più confortevole che ad Ustica, sotto tutti i riguardi, ma una cappa di piombo grava addosso in questo che è veramente un carcere all'aperto...
La vita confinaria assume tutt'altro aspetto di quello che aveva ad Ustica. Non più scuola di "filosofia", non più "società della nafta", non più conversazioni nella barberia confinaria che terminavano con una generosa spruzzata di "acqua della colonia".
La sola passeggiata da automi sull'arco di cerchio della via principale, percorsa da uyn capo all'altro cinquanta volte al giorno, ove si incontravano cinquanta volte le stesse persone che facevano come noi.
Le stesse mense dei vari gruppi, servivano solo a soddisfare le necessità della vita fisica di chi le frequentava, ma non erano più quei cenacoli politici vivaci che avevo osservato a Ustica."
Ed ancora Adriano Benini:
"Non ci lavavamo per mancanza d'acqua anche se era assurdo, perchè si era a quattro passi dall'acqua e non si poteva fare il bagno.
Chiedemmo di poterlo fare, ma la risposta fu negativa anzi fu accompagnata da un arresto e tre mesi di carcere solo per averlo chiesto.
Fu anche chiesto il diritto di poter studiare apertamente la storia del nostro paese ecc. e non in modo clandestino come si era costretti perchè ogni tanto qualcuno andava a finire in carcere condannato a 5 - 6 mesi solo perchè non voleva essere analfabeta. Queste rivendicazioni erano seguite da agitazioni che noi conducevamo chiudendoci nei cameroni, rifiutando di uscire e di mangiare.
Una volta tutti e 400 fummo arrestati e portati nel carcere dell'isola.
Fummo processati immediatamente con una rapidità di 1 o 2 giorni al massimo e condannati a 12 e 13 mesi di carcere, solo per aver chiesto di studiare.
Tuttavia, durante i miei sette anni passati in quell'isola, quello che mi ha più colpito è stata l'unità e la solidarietà che regnava da noi.
Si subivano, non raramente, torture tali che, ricordo, una volta un confinato di Milano morì.
Egli era in mezzo a due carabinieri quando scese dal piroscafo sull'isola di Ponza; camminava malamente, ciò significava che durante il viaggio era già agonizzante, infatti appena gli furono levati i ferri dai polsi, morì.
Queste furono cose di tutti i giorni per la questura fascista che torturava, bastonava.
Di conseguenza molti erano gli ammalati di tubercolosi, ridotti così dalle bastonate dei manganelli, i quali non lasciavano segni ma sconquassavano all'interno tutto l'organismo...."
"...Nell'isola di Ponza la maggioranza dei confinati erano del partito comunista perchè quest'ultimo fin dal principio si era posto di continuare la lotta degli operai, anche se ciò costava anni di carcere, di confino, di sacrificio della propria vita.
Quindi anche al confino erano pochissimi i socialisti, i repubblicani, gli anarchici.
C'era qualche minoranza di slavi.
Anche se stranieri, i rapporti con loro erano ottimi perchè fra noi vi era un'unità determinata dalla necessità della lotta contro il nazifascismo.
A volte i fascisti cercavano d'intrufolarsi all'interno della nostra vita, travestendosi da confinati ma poi si smascheravano da soli perchè si rifiutavano di portare dei bottiglioni di 12 Kg. sulle spalle, di spaccare la legna, di fare il cameriere, il cuoco, insomma tutti i lavori pesanti e difficili.
Quando scoprivamo questi elementi provocatori mettevamo un cucchiaio di sale in più nella minestra, rendendola non mangiabile, dopo ciò essi capivano tutto e se ne andavano col primo piroscafo.
Ricordo che avevamo la possibilità di raggiungere un prato che chiamavamo della miseria perchè non vi cresceva un filo d'erba, dove ci sedevamo malgrado che da ogni lato uscisse, dai camini delle abitazioni, un gran fumo.
Questi prati della miseria erano scavati nella roccia, dove gli isolani di Ponza vivevano la loro vita."
(Notizie e foto sono tratte dal libro di Antonio De Vito "Il sovversivo col farfallino Destinazione Ponza")
Le foto segnaletiche di Giuseppe De Vito, sovversivo col farfallino
Giuseppe De Vito in una cartolina postale spedita a casa, luglio 1936
Giuseppe De Vito a Ponza, 1929
Corso Pisacane, "Il Corso dei passi perduti" dei confinati
Il camerone dei confinati