In questo momento il cimitero di Ponza è diventato insufficiente, non c'è più posto e spesso si sfrattano i morti per seppellirne altri.
Ma nel Settecento i primi coloni giunti da Ischia dove seppellivano i propri cari?
Sono state trovate sepolture in diverse località dell'isola come nei pressi del porto, accanto alla chiesa, in zona Dragonara, a Santa Maria...
Il Tricoli scrive: "Solo nel 1772 venne costruito il camposanto scoverto in dorso del bagno di Pilato, cinto da un muro, con tre profonde fosse, oltre la estensione di suolo per inumarvi, nonchè quello esterno destinato per gl'impenitenti ed appestati. Sulla parte più elevata di quel luogo fu edificato quello coverto, con tre altari dedicati alla Madonna della Salvazione, a S. Lucia, ed alle anime del Purgatorio, mentre delle quattro fosse col dispaccio del 12 maggio 1792 erano classificate, una per i sacerdoti, uffiziali e notabili; la seconda per soldati e condannati; la terza per gli uomini; e l'altra per le donne e ragazzi."
E a Le Forna?
Era previsto un cimitero anche in quella parte dell'isola, accanto alla chiesa dell'Assunta, infatti si autorizzò la sepoltura con un dispaccio del 18 agosto 1801, ed il Re donò una lapide, con un'iscrizione in latino, che fece arrivare da Palermo. La lapide ora si trova nei locali che dovrebbero ospitare, si spera, il Museo di Ponza.
Un discorso a parte meritano le Necropoli che sono situate sui Guarini ed al Bagno Vecchio degli Scotti.
Giovanni Maria De Rossi in "Ponza Palmarola Zannone" scrive: "In entrambi i casi ci si trova in presenza di tombe a camera scavate nel banco roccioso, per deposizioni miste (incinerazione ed inumazione). Sia ai Guarini che al Bagno Vecchio i sepolcri si snodano dalla sommità lungo ai fianchi sud e sud-est dell'altura; il loro orientamento è determinato dall'orografia che imponeva lo sfruttamento dei terrazzamenti naturali e degli interposti pianori, senza l'intervento di forzature artificiali."
Il Mattei, nel 1847, così scrive della Necropoli dei Guarini: "Ma sul pendio di Chiaia di Luna non mi aspettava imbattermi nel sepolcreto Ponziano antico. Di esso mi offriva la certezza, oltre all'aspetto, anche la disposizione delle tombe, la frequenza delle medesime sulle pendici del colle, serbata la visuale della propinqua città."
Il cimitero sulla Collina la Rotonda con la Chiesetta dedicata alla Madonna della Salvazione
Iscrizione marmorea in latino proveniente dall'ex Cimitero delle Forna di Ponza (Deposito Comunale di Ponza).
Il testo dice: "Affinchè coloro che furono creati di polvere e che polvere sono tornati, in attesa della beatitudine e della gloria del Gran Dio, abbiano un seppellimento temporaneo, la beneficenza religiosa di Ferdinando IV P.F.A.Re delle Due Sicilie ha costruito questo cimitero pubblico alle Forna di Ponza. Consulente, Michele San Severino vescovo di Gaeta, nell'anno di rinnovata salute 1807."
(Da "Le isole pontine attraverso i tempi")
Necropoli sopra Chiaia di Luna, precisamente sui Guarini, disegni del Mattei, 1847
Necropoli del Bagno Vecchio
(Foto di Rossano Di Loreto, settembre 2016)
domenica 31 marzo 2019
venerdì 29 marzo 2019
U lupo mannaro
Da bambini abbiamo sentito spesso raccontare del lupo mannaro che usciva nelle notti di luna piena.
Noi avevamo paura di questo essere e qualcuno sosteneva di averlo visto.
Ernesto Prudente così racconta :
"Il lupo mannaro, per quanto si possa favoleggiare, è un fatto scientifico che va sotto il nome di licantropia. Una malattia in cui chi ne è affetto cade in un delirio metamorfico e credendosi e ritenendosi un lupo ne imita, finanche, il comportamento e gli atteggiamenti. E dalla licantropia è derivata la leggenda del lupo mannaro.
Nell'occidente l'uomo si crede trasformato in lupo, in Asia in tigre e iena in Africa.
Oggi è una malattia estremamente rara che si manifesta solo in particolari casi di melancolia, una terribile malattia mentale.
Nel corso della storia, fino al diciannovesimo secolo, i lupi mannari erano numerosi. Alla prima manifestazione dei sintomi che li spingevano al delirio e che avveniva sempre in una notte di luna piena, scappavano di casa e andavano girovagando per le strade del paese.
La credenza del lupo mannaro era molto diffusa nel popolino e lo è ancora oggi anche se da decenni non se ne parla più.
Non sento più nessuno che accenni a questo argomento di cui una volta, fino agli anni della mia gioventù, se ne parlava con diffusione.
Secondo i nostri antenati, lupo mannaro si nasceva. Tra questi annotavano tutti coloro che venivano concepiti nella notte dell'Annunziata e quelli che nascevano nella notte di Natale, a mezzanotte in punto.
Si poteva diventare lupo mannaro anche con una fattura.
La fattura era una specie di incantesimo che si faceva per colpire un individuo."
"...La fattura era generalmente volta al male ma molto spesso veniva effettuata per impedire, arrestare, scongiurare gli effetti deleteri di un maleficio.
N'ate mbruoglje, un altro imbroglio, era togliere la fattura. Non era cosa semplice, secondo i fattucchieri. Era più facile farla che toglierla.
In varie località, Ponza fra queste, si ritiene che la metamorfosi sia il frutto di una malattia che va sotto il nome di mal di luna. Nelle notti di plenilunio il malato esce, scappa dalla casa, urlando, dimenandosi per le strade.
Si raccontava anche che per liberare un lupo mannaro dal suo destino bisognava pungerlo in modo tale da fargli uscire il sangue.
Ma esiste il lupo mannaro?"
Si racconta che la persona, il lupo mannaro, dopo essere stato punto e fatto uscire il sangue, ritornava in sè supplicando che non fosse svelato questo terribile segreto.
Una notte di Luna piena
(Foto di Rossano Di Loreto)
Noi avevamo paura di questo essere e qualcuno sosteneva di averlo visto.
Ernesto Prudente così racconta :
"Il lupo mannaro, per quanto si possa favoleggiare, è un fatto scientifico che va sotto il nome di licantropia. Una malattia in cui chi ne è affetto cade in un delirio metamorfico e credendosi e ritenendosi un lupo ne imita, finanche, il comportamento e gli atteggiamenti. E dalla licantropia è derivata la leggenda del lupo mannaro.
Nell'occidente l'uomo si crede trasformato in lupo, in Asia in tigre e iena in Africa.
Oggi è una malattia estremamente rara che si manifesta solo in particolari casi di melancolia, una terribile malattia mentale.
Nel corso della storia, fino al diciannovesimo secolo, i lupi mannari erano numerosi. Alla prima manifestazione dei sintomi che li spingevano al delirio e che avveniva sempre in una notte di luna piena, scappavano di casa e andavano girovagando per le strade del paese.
La credenza del lupo mannaro era molto diffusa nel popolino e lo è ancora oggi anche se da decenni non se ne parla più.
Non sento più nessuno che accenni a questo argomento di cui una volta, fino agli anni della mia gioventù, se ne parlava con diffusione.
Secondo i nostri antenati, lupo mannaro si nasceva. Tra questi annotavano tutti coloro che venivano concepiti nella notte dell'Annunziata e quelli che nascevano nella notte di Natale, a mezzanotte in punto.
Si poteva diventare lupo mannaro anche con una fattura.
La fattura era una specie di incantesimo che si faceva per colpire un individuo."
"...La fattura era generalmente volta al male ma molto spesso veniva effettuata per impedire, arrestare, scongiurare gli effetti deleteri di un maleficio.
N'ate mbruoglje, un altro imbroglio, era togliere la fattura. Non era cosa semplice, secondo i fattucchieri. Era più facile farla che toglierla.
In varie località, Ponza fra queste, si ritiene che la metamorfosi sia il frutto di una malattia che va sotto il nome di mal di luna. Nelle notti di plenilunio il malato esce, scappa dalla casa, urlando, dimenandosi per le strade.
Si raccontava anche che per liberare un lupo mannaro dal suo destino bisognava pungerlo in modo tale da fargli uscire il sangue.
Ma esiste il lupo mannaro?"
Si racconta che la persona, il lupo mannaro, dopo essere stato punto e fatto uscire il sangue, ritornava in sè supplicando che non fosse svelato questo terribile segreto.
Una notte di Luna piena
(Foto di Rossano Di Loreto)
mercoledì 27 marzo 2019
Antiche leggende: la Grotta del Tesoro
Sotto il promontorio di Forte Papa c'è una grotta chiamata di Zì Teresa o del Tesoro.
Ecco a tal proposito cosa ho trovato nel libro di Silverio Mazzella In barca per Ponza Palmarola e Zannone:
" Il tesoro del Galeotto.
Tramanda l'antica leggenda che un galeotto, ospite delle carceri dell'isola, prima di morire volle ricompensare il suo fedele compagno di cella con l'indicazione di un tesoro da lui nascosto - migliaia di scudi d'oro - ottenuti dal ricavato della vendita di suppellettili sacre rubate. Dopo il primo tentativo fallito, al galeotto superstite non restò che aspettare tempi migliori. E vennero. L'amicizia con un nuovo galeotto in fama di grande mago, da poco giunto nell'isola, lo incoraggiava nella ricerca che, spiegava ora l'esperto, per ottenere successo bisognava sacrificare l'anima innocente di un bambino alle potenze del male. Ma le chiacchiere divulgatesi dal carcere per tutte le famiglie dell'isola, avevano creato un via vai per la grotta che avevano insospettito le autorità, che ne avevano alfine proibito l'accesso. E il tesoro, conclude la storia, è rimasto nella grotta, senza che nessuno sia mai riuscito a recuperarlo."
Il Tricoli nella sua Monografia per le isole del gruppo ponziano a proposito della Grotta del Tesoro così scrive: "Con più sicurezza si fa supporre che nella caverna subacquea e sottoposta al Fortepapa, vi sia un deposito di tre casse di verghe d'oro d'immenso valore, che si dicono nascoste vari secoli dietro da un negoziante, che presso quei mari veniva inseguito da altro legno corsaro."
Quindi il tesoro era di un galeotto o di un negoziante???
Non lo sapremo mai...
Tra queste rocce c'è la Grotta del Tesoro
Forte Papa
(Agosto 2016)
Ecco a tal proposito cosa ho trovato nel libro di Silverio Mazzella In barca per Ponza Palmarola e Zannone:
" Il tesoro del Galeotto.
Tramanda l'antica leggenda che un galeotto, ospite delle carceri dell'isola, prima di morire volle ricompensare il suo fedele compagno di cella con l'indicazione di un tesoro da lui nascosto - migliaia di scudi d'oro - ottenuti dal ricavato della vendita di suppellettili sacre rubate. Dopo il primo tentativo fallito, al galeotto superstite non restò che aspettare tempi migliori. E vennero. L'amicizia con un nuovo galeotto in fama di grande mago, da poco giunto nell'isola, lo incoraggiava nella ricerca che, spiegava ora l'esperto, per ottenere successo bisognava sacrificare l'anima innocente di un bambino alle potenze del male. Ma le chiacchiere divulgatesi dal carcere per tutte le famiglie dell'isola, avevano creato un via vai per la grotta che avevano insospettito le autorità, che ne avevano alfine proibito l'accesso. E il tesoro, conclude la storia, è rimasto nella grotta, senza che nessuno sia mai riuscito a recuperarlo."
Il Tricoli nella sua Monografia per le isole del gruppo ponziano a proposito della Grotta del Tesoro così scrive: "Con più sicurezza si fa supporre che nella caverna subacquea e sottoposta al Fortepapa, vi sia un deposito di tre casse di verghe d'oro d'immenso valore, che si dicono nascoste vari secoli dietro da un negoziante, che presso quei mari veniva inseguito da altro legno corsaro."
Quindi il tesoro era di un galeotto o di un negoziante???
Non lo sapremo mai...
Tra queste rocce c'è la Grotta del Tesoro
Forte Papa
(Agosto 2016)
domenica 24 marzo 2019
L'infermeria borbonica di Ponza
Alle spalle della Chiesa di Ponza porto, i Borboni, realizzarono anche l'infermeria che consisteva in un grande caseggiato.
Con il tempo l'edificio ha perso lo scopo per cui è stato costruito, è stato acquisito dal Demanio e, per molti anni ha ospitato l'ordine religioso delle suore del Preziosissimo Sangue che dirigevano un orfanotrofio.
Le suore gestivano, in quei locali, anche l'asilo infantile, l'attuale "Ciro Piro" che noi bambini di quel tempo abbiamo frequentato.
L'ordine religioso ha lasciato l'edificio alla fine degli anni settanta e per un pò di tempo in quei locali si sono svolte diverse attività.
Ma poi, purtroppo, la struttura è finita nel degrado, era fatiscente, ed è stata acquisita dalla Guardia di Finanza per farne una caserma.
Ci sono voluti lavori di consolidamento e di ristrutturazione che sono durati un bel pò di tempo ma che hanno recuperato questo edificio storico.
La caserma è intitolata al Finanziere Antonio Serpe,del XVIII Battaglione, distintosi nel 1918, in Albania.
Sulla sinistra della foto l'infermeria borbonica
In questa foto si vede il caseggiato per esteso
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
Sulla sinistra della foto l'infermeria borbonica oggi sede della Guardia di Finanza
(Estate 2017)
Con il tempo l'edificio ha perso lo scopo per cui è stato costruito, è stato acquisito dal Demanio e, per molti anni ha ospitato l'ordine religioso delle suore del Preziosissimo Sangue che dirigevano un orfanotrofio.
Le suore gestivano, in quei locali, anche l'asilo infantile, l'attuale "Ciro Piro" che noi bambini di quel tempo abbiamo frequentato.
L'ordine religioso ha lasciato l'edificio alla fine degli anni settanta e per un pò di tempo in quei locali si sono svolte diverse attività.
Ma poi, purtroppo, la struttura è finita nel degrado, era fatiscente, ed è stata acquisita dalla Guardia di Finanza per farne una caserma.
Ci sono voluti lavori di consolidamento e di ristrutturazione che sono durati un bel pò di tempo ma che hanno recuperato questo edificio storico.
La caserma è intitolata al Finanziere Antonio Serpe,del XVIII Battaglione, distintosi nel 1918, in Albania.
Sulla sinistra della foto l'infermeria borbonica
In questa foto si vede il caseggiato per esteso
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
Sulla sinistra della foto l'infermeria borbonica oggi sede della Guardia di Finanza
(Estate 2017)
mercoledì 20 marzo 2019
Le fresie
Le fresie fanno presagire l'arrivo della primavera e quelle di Ponza hanno un profumo inebriante.
Le adoro!!!
Quando ero ragazza e vivevo a Ponza la prima fresia proveniva dal giardino di Maria Conte, la dolce signora d'altri tempi, il cui ricordo mi è sempre caro.
Sapeva della mia passione per questo fiore...
Ho provato a mettere dei bulbi nei vasi del mio balcone, le fresie sono fiorite ma non profumano come quelle di Ponza.
Le profumatissime fresie ponzesi
(Foto di Annalisa Sogliuzzo)
Nota:
Maria Conte, la dolce signora d'altri tempi, era la cugina di mia madre e sorella di Titina Conte. Era una persona squisita e provavo molto affetto per lei.
Le adoro!!!
Quando ero ragazza e vivevo a Ponza la prima fresia proveniva dal giardino di Maria Conte, la dolce signora d'altri tempi, il cui ricordo mi è sempre caro.
Sapeva della mia passione per questo fiore...
Ho provato a mettere dei bulbi nei vasi del mio balcone, le fresie sono fiorite ma non profumano come quelle di Ponza.
Le profumatissime fresie ponzesi
(Foto di Annalisa Sogliuzzo)
Nota:
Maria Conte, la dolce signora d'altri tempi, era la cugina di mia madre e sorella di Titina Conte. Era una persona squisita e provavo molto affetto per lei.
martedì 19 marzo 2019
San Giuseppe e San Silverio
Nello storico bar Tripoli, in piazza Pisacane, nel cuore dell'isola di Ponza, c'è questo quadro antico in cui sono raffigurati San Giuseppe e San Silverio. L'anno sull'immagine di San Silverio è il 1938.
Una foto del 2014
Molto belle le immagini dei due Santi
A San Giuseppe è dedicata la chiesa della frazione di Santa Maria e proprio oggi si celebra la sua festa.
Una foto del 2014
Molto belle le immagini dei due Santi
A San Giuseppe è dedicata la chiesa della frazione di Santa Maria e proprio oggi si celebra la sua festa.
domenica 17 marzo 2019
U munacielle
La credenza popolare immagina che u munacielle sia un fantasma che indossa il saio da monaco, un folletto a tratti buono ma anche dispettoso che occupa la casa.
La famiglia che abita in quella casa può ricevere tanta fortuna oppure essere infastidita a tal punto da essere costretta ad a cambiare abitazione.
La tradizione impone un fatto importante, la famiglia che riceve fortuna non dovrà mai dire ad altre persone della presenza del munacielle, se uno solo del nucleo familiare parla, da quel momento riceveranno solo guai.
La leggenda del munacielle ha origini antiche, nasce a Napoli nel 1445.
Il munacielle sarebbe il figlio di Caterinella, una signorina benestante che quando la sua famiglia si accorse che era incinta la rinchiusero in convento ed uccisero il fidanzato.
Il figlio gracilino crebbe in quel convento, indossava un vestito da monaco e morì in circostanze misteriose.
Da lì partì la leggenda del munacielle che i nostri antenati portarono fino a Ponza.
Ernesto Prudente nel suo libro "Leggende isolane" racconta del munacielle così:
"E' rimasto nelle zone dove è vissuto da vivo. E in questi luoghi la gente lo rivede mentre scorrazza nelle case vendicandosi, in qualsiasi modo e in qualsiasi maniera, di chi lo ha tormentato.
Una vendetta contraria la manifesta per chi ha avuto nei suoi confronti parole e opere di generosità e di umanità.
Quando la padrona di casa trova la bottiglia dell'olio rovesciata e vuota, la vescica della "nzogne" presa di mira dagli artigli del gatto, anche se non vive in casa, il salame appeso mangiucchiato dal roditore, l'acqua che ha invaso la cucina e allora non ci sono dubbi: il colpevole è il "munacielle".
E' lui che urtando il braccio della signorinella, che lavora al ricamo, le fa pungere il dito e il sangue non si stagna più. E' lui che mette lo sgambetto alla ragazza che porta a tavola il vassoio con i bicchieri, facendola rotolare per terra.
E' lui che inacidire il vino nelle botti.
In tutte le manifestazioni avverse c'è la mano diabolica del "munacielle".
Una diabolicità che si notava anche nel pianto continuo e abitudinario di un bambino. Le mamme, per tenere lontano il "munacielle", attaccavano agli indumenti intimi dei bambini, con una spilla di sicurezza, un "abbetielle", uno scapolare fatto da un pezzetto di stoffa che avvolgeva l'immagine di un santo.
Quando invece la massaia trovava sul tavolo della cucina una borsa piena di pasta, un fiasco pieno di olio, un sacchetto di patate, era stata anche opera del "munacielle" come era opera sua quando, nel rifare il letto, si trovava, fra le lenzuola, qualche moneta d'argento.
Era lui che tormentava coloro che lo deridevano."
Era lui che portava in casa benessere e tesori.
I nostri antenati lo importarono anche a Ponza dove ha vissuto, sempre a vicende alterne, fino alla metà del secolo scorso. Ha avuto un posto di rilievo nella cultura isolana. Si è sempre parlato della sua discontinua apparenza, con doni o bastonate a seconda del proprio comportamento o del proprio credito.
Ernesto scrive ancora a proposito del munacielle:
"Con gli anni è scomparso. E con la morte di Marietta a Gaetana e Titina int'i palette, nessuno ne parla più.
Nessuno, rivolgendosi a qualche fortunato, dice più: "Tiene u munacielle a case".
Il "munacielle" era temuto e rispettato. Da qualcuno finalmente amato".
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
U munacielle
La famiglia che abita in quella casa può ricevere tanta fortuna oppure essere infastidita a tal punto da essere costretta ad a cambiare abitazione.
La tradizione impone un fatto importante, la famiglia che riceve fortuna non dovrà mai dire ad altre persone della presenza del munacielle, se uno solo del nucleo familiare parla, da quel momento riceveranno solo guai.
La leggenda del munacielle ha origini antiche, nasce a Napoli nel 1445.
Il munacielle sarebbe il figlio di Caterinella, una signorina benestante che quando la sua famiglia si accorse che era incinta la rinchiusero in convento ed uccisero il fidanzato.
Il figlio gracilino crebbe in quel convento, indossava un vestito da monaco e morì in circostanze misteriose.
Da lì partì la leggenda del munacielle che i nostri antenati portarono fino a Ponza.
Ernesto Prudente nel suo libro "Leggende isolane" racconta del munacielle così:
"E' rimasto nelle zone dove è vissuto da vivo. E in questi luoghi la gente lo rivede mentre scorrazza nelle case vendicandosi, in qualsiasi modo e in qualsiasi maniera, di chi lo ha tormentato.
Una vendetta contraria la manifesta per chi ha avuto nei suoi confronti parole e opere di generosità e di umanità.
Quando la padrona di casa trova la bottiglia dell'olio rovesciata e vuota, la vescica della "nzogne" presa di mira dagli artigli del gatto, anche se non vive in casa, il salame appeso mangiucchiato dal roditore, l'acqua che ha invaso la cucina e allora non ci sono dubbi: il colpevole è il "munacielle".
E' lui che urtando il braccio della signorinella, che lavora al ricamo, le fa pungere il dito e il sangue non si stagna più. E' lui che mette lo sgambetto alla ragazza che porta a tavola il vassoio con i bicchieri, facendola rotolare per terra.
E' lui che inacidire il vino nelle botti.
In tutte le manifestazioni avverse c'è la mano diabolica del "munacielle".
Una diabolicità che si notava anche nel pianto continuo e abitudinario di un bambino. Le mamme, per tenere lontano il "munacielle", attaccavano agli indumenti intimi dei bambini, con una spilla di sicurezza, un "abbetielle", uno scapolare fatto da un pezzetto di stoffa che avvolgeva l'immagine di un santo.
Quando invece la massaia trovava sul tavolo della cucina una borsa piena di pasta, un fiasco pieno di olio, un sacchetto di patate, era stata anche opera del "munacielle" come era opera sua quando, nel rifare il letto, si trovava, fra le lenzuola, qualche moneta d'argento.
Era lui che tormentava coloro che lo deridevano."
Era lui che portava in casa benessere e tesori.
I nostri antenati lo importarono anche a Ponza dove ha vissuto, sempre a vicende alterne, fino alla metà del secolo scorso. Ha avuto un posto di rilievo nella cultura isolana. Si è sempre parlato della sua discontinua apparenza, con doni o bastonate a seconda del proprio comportamento o del proprio credito.
Ernesto scrive ancora a proposito del munacielle:
"Con gli anni è scomparso. E con la morte di Marietta a Gaetana e Titina int'i palette, nessuno ne parla più.
Nessuno, rivolgendosi a qualche fortunato, dice più: "Tiene u munacielle a case".
Il "munacielle" era temuto e rispettato. Da qualcuno finalmente amato".
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
U munacielle
venerdì 15 marzo 2019
La lettera al Papa
Gli abitanti della frazione di Santa Maria nell'Ottocento avevano difficoltà ad andare a Messa perchè la chiesa di Ponza porto era lontana. Per raggiungerla dovevano inerpicarsi su sentieri ripidi, tortuosi e nelle giornate di brutto tempo, specialmente d'inverno, era impossibile.
La galleria che congiunge Santa Maria a Giancos era ostruita dai detriti quindi impraticabile, venne resa fruibile intorno al 1850.
I lavori della chiesa erano iniziati nel 1828 ma dopo il crollo della volta si fermarono.
La popolazione di Santa Maria nel 1886 scrisse una lettera al Papa Leone XIII chiedendo un aiuto affinchè fosse completata la loro chiesa..
La chiesa finalmente fu completata e fu consacrata il 21 giugno del 1895.
L'interno della chiesa di Santa Maria dedicata a San Giuseppe
Ecco il testo della lettera:
Questo il testo della lettera con la classica scrittura ottocentesca che mi ha fatto pervenire Eva Mazzella
Questo il testo comprensibile della lettera
Già in questa lettera eleggono come loro protettore San Giuseppe
(Tratto da "Appunti per un libro" di don Salvatore Tagliamonte)
Ma io ho la sensazione che prima di questa lettera ce ne sia stata un'altra indirizzata al Re scritta da don Antonino Conte.
Mia madre per anni ha custodito una lettera di preghiera affinchè riprendessero i lavori della chiesa di Santa Maria. Mi sembra sia stata scritta intorno alla metà dell'Ottocento.
La lettera è stata consegnata a don Salvatore Tagliamonte, allora parroco, in occasione dei cento anni della consacrazione della chiesa avvenuta nel 1995, ed era la copia originale.
Confesso che mi arrabbiai un pò per non averne fatto una fotocopia.
Bisognerebbe cercare nell'archivio della chiesa perchè io ho questo dubbio.
Don Antonino Conte era il fratello del mio bisnonno Placido ed è stato il primo sacerdote addetto alla chiesa di Santa Maria.
Don Antonino Conte
La galleria che congiunge Santa Maria a Giancos era ostruita dai detriti quindi impraticabile, venne resa fruibile intorno al 1850.
I lavori della chiesa erano iniziati nel 1828 ma dopo il crollo della volta si fermarono.
La popolazione di Santa Maria nel 1886 scrisse una lettera al Papa Leone XIII chiedendo un aiuto affinchè fosse completata la loro chiesa..
La chiesa finalmente fu completata e fu consacrata il 21 giugno del 1895.
L'interno della chiesa di Santa Maria dedicata a San Giuseppe
Ecco il testo della lettera:
Questo il testo della lettera con la classica scrittura ottocentesca che mi ha fatto pervenire Eva Mazzella
Questo il testo comprensibile della lettera
Già in questa lettera eleggono come loro protettore San Giuseppe
(Tratto da "Appunti per un libro" di don Salvatore Tagliamonte)
Ma io ho la sensazione che prima di questa lettera ce ne sia stata un'altra indirizzata al Re scritta da don Antonino Conte.
Mia madre per anni ha custodito una lettera di preghiera affinchè riprendessero i lavori della chiesa di Santa Maria. Mi sembra sia stata scritta intorno alla metà dell'Ottocento.
La lettera è stata consegnata a don Salvatore Tagliamonte, allora parroco, in occasione dei cento anni della consacrazione della chiesa avvenuta nel 1995, ed era la copia originale.
Confesso che mi arrabbiai un pò per non averne fatto una fotocopia.
Bisognerebbe cercare nell'archivio della chiesa perchè io ho questo dubbio.
Don Antonino Conte era il fratello del mio bisnonno Placido ed è stato il primo sacerdote addetto alla chiesa di Santa Maria.
Don Antonino Conte
domenica 10 marzo 2019
I musicanti
Dal libro di Luigi Sandolo Su e giù per Ponza c'è un brano in cui si racconta dei Musicanti.
Eccolo: Al Ponzese non manca il senso musicale che oggi soddisfa con la radio ed i dischi.
Negli anni non più vicini v'erano gli appassionati della musica lirica e sinfonica e fra essi si costituì un comitato ed a loro spese mandarono a chiamare un maestro di musica nella persona di Francesco Titta. Questi organizzò una banda che per decenni deliziò il loro udito e quello della popolazione isolana.
La banda suonava in ogni festa religiosa ed al seguito di quasi tutti i funerali. Per queste prestazioni veniva pagata.
Uno dei più accaniti sostenitori della banda fu Benedetto Migliaccio fu Pasquale.
Morto il maestro Titta la banda ha continuato a suonare sotto la guida del macellaio Antonio Guarino. Poi per inedia è scomparsa.
Oggi dietro le esequie si sente solo un chiacchierio irrispettoso mentre una volta si ascoltava la banda musicale.
Pasquale Parisi fu Gaspare, appassionato di musica, durante la prova della marcia funebre di Chopin esclamò: Quando muoio voglio essere accompagnato al cimitero al suono di questa musica. Non passò una settimana ed il compianto Pasqualino fu accontentato.
Oggi l'isola di Ponza ha una banda musicale diretta dal maestro Cafolla.
La prima banda musicale isolana
(Anni '30)
Successivamente la banda era diretta dal maestro Anzalone
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
La banda diretta dal maestro Cafolla
(Foto tratta da "Appunti per un libro" di don Salvatore Tagliamonte)
Eccolo: Al Ponzese non manca il senso musicale che oggi soddisfa con la radio ed i dischi.
Negli anni non più vicini v'erano gli appassionati della musica lirica e sinfonica e fra essi si costituì un comitato ed a loro spese mandarono a chiamare un maestro di musica nella persona di Francesco Titta. Questi organizzò una banda che per decenni deliziò il loro udito e quello della popolazione isolana.
La banda suonava in ogni festa religiosa ed al seguito di quasi tutti i funerali. Per queste prestazioni veniva pagata.
Uno dei più accaniti sostenitori della banda fu Benedetto Migliaccio fu Pasquale.
Morto il maestro Titta la banda ha continuato a suonare sotto la guida del macellaio Antonio Guarino. Poi per inedia è scomparsa.
Oggi dietro le esequie si sente solo un chiacchierio irrispettoso mentre una volta si ascoltava la banda musicale.
Pasquale Parisi fu Gaspare, appassionato di musica, durante la prova della marcia funebre di Chopin esclamò: Quando muoio voglio essere accompagnato al cimitero al suono di questa musica. Non passò una settimana ed il compianto Pasqualino fu accontentato.
Oggi l'isola di Ponza ha una banda musicale diretta dal maestro Cafolla.
La prima banda musicale isolana
(Anni '30)
Successivamente la banda era diretta dal maestro Anzalone
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
La banda diretta dal maestro Cafolla
(Foto tratta da "Appunti per un libro" di don Salvatore Tagliamonte)
venerdì 8 marzo 2019
La Quaresima ponzese
Durante la Quaresima, un tempo, si usava appendere alla porta una bambolina.
Di questa tradizione ne ho sentito parlare...ma io non la ricordo, credo sia ormai scomparsa ed è un vero peccato.
C'era anche una filastrocca che faceva così:
" Na quareseme secca secche,
se mangiaie na fechesecche,
e decette dammene une
se pegliaie nu cauce 'ngule.
E decette dammene nate,
ce menaie na scuppettate"
Maria Conte, la mia amica che abita a Padova, cultrice delle tradizioni ponzesi, così racconta la Quaresima ponzese:
La bambolina rappresenta una vecchietta con i capelli bianchi, che sta filando la lana, segno del tempo che scorre.
Sul capo, infilzate in una comune patata, si mettono 7 penne di gallina ovvero 6 nere ed 1 bianca.
Le 6 nere rappresentano le 4 Domeniche di Quaresima (I-II-III-IV), poi quella che si chiama Domenica di Passione ed infine Domenica delle Palme. Quella bianca significa la Pasqua di Resurrezione.
La vecchietta, la si poneva sotto l'arco della porta, esposta al bel tempo ed al brutto.
Ogni domenica, i piccoli di casa, a Ponza, un tempo, guardavano con ansia l'avvicinarsi della Pasqua con tutte le sue bellissime e suggestive funzioni religiose,..con il casatiello e facevano a gara a chi dovesse togliere la penna alla vecchietta.
Maria nella sua casa di Padova, insieme a sua cugina Rosanna, ancora usano appendere la bambolina della Quaresima...è un pò come stare a Ponza...come ritornare bambini...
La bambolina della Quaresima, raffigurata nella foto, è stata realizzata dalla zia di Maria Conte, la mamma di Rosanna, ed è appesa nella loro casa di Padova
Di questa tradizione ne ho sentito parlare...ma io non la ricordo, credo sia ormai scomparsa ed è un vero peccato.
C'era anche una filastrocca che faceva così:
" Na quareseme secca secche,
se mangiaie na fechesecche,
e decette dammene une
se pegliaie nu cauce 'ngule.
E decette dammene nate,
ce menaie na scuppettate"
Maria Conte, la mia amica che abita a Padova, cultrice delle tradizioni ponzesi, così racconta la Quaresima ponzese:
La bambolina rappresenta una vecchietta con i capelli bianchi, che sta filando la lana, segno del tempo che scorre.
Sul capo, infilzate in una comune patata, si mettono 7 penne di gallina ovvero 6 nere ed 1 bianca.
Le 6 nere rappresentano le 4 Domeniche di Quaresima (I-II-III-IV), poi quella che si chiama Domenica di Passione ed infine Domenica delle Palme. Quella bianca significa la Pasqua di Resurrezione.
La vecchietta, la si poneva sotto l'arco della porta, esposta al bel tempo ed al brutto.
Ogni domenica, i piccoli di casa, a Ponza, un tempo, guardavano con ansia l'avvicinarsi della Pasqua con tutte le sue bellissime e suggestive funzioni religiose,..con il casatiello e facevano a gara a chi dovesse togliere la penna alla vecchietta.
Maria nella sua casa di Padova, insieme a sua cugina Rosanna, ancora usano appendere la bambolina della Quaresima...è un pò come stare a Ponza...come ritornare bambini...
La bambolina della Quaresima, raffigurata nella foto, è stata realizzata dalla zia di Maria Conte, la mamma di Rosanna, ed è appesa nella loro casa di Padova
mercoledì 6 marzo 2019
Il fanalista che salvò il Narduccio in difficoltà
Scorrendo le pagine del bellissimo libro di Silverio Mazzella Ponzesi, gente di mare Storie di barche, di pesca, di navigazione mi sono imbattuta in questa storia.
Eccola:
Il 28 gennaio 1948 una violenta tempesta si scatenò sull'isola di Ponza, così raccontò Filippo Vitiello, fanalista reggente al Faro della Guardia, al giornalista Alfonso Gatto che pubblicò su Epoca del 14 agosto 1955.
"...Uscito a dare uno sguardo alla torre, m'accorsi che la salsedine in poche ore aveva reso opachi tutti i vetri della lanterna e che il faro aveva perduto la sua luminosità. Il vento urlava e sembrava portarci via le parole. Salimmo, io e il mio compagno, sul terrazzino che gira intorno alla torre, mi feci legare a una fune e mi arrampicai ai montanti della lanterna. Con una mano stretta a un appiglio, con l'altra e con tutto il braccio pulii i vetri centrali. Sulla faccia accecata dalla luce sentii che il faro riaveva il suo splendore. Erano le 23 e 45. Ricordo che scendendo fissai l'ora e i minuti per trascriverli nel giornale di servizio. Al mattino, finito il mio turno, mi recai in paese. Alcuni uomini scalzi e imbambolati, quasi fuori dal mondo, uscivano dalla chiesa, accompagnati da una folla di curiosi e di parenti.
Uno di loro, vedendomi, mi abbracciò e quasi senza fiato disse, grazie ripetè più volte.
Un altro con maggior voce tentò di spiegare: "Non vedevamo più nulla. La Narduccio incassava acqua per una falla e noi, perduta ogni speranza ormai, non pompavamo più, sfiniti, ansiosi quasi di rassegnarci alla nostra sorte.
All'improvviso il timoniere gridò: Il faro della Guardia!
..."Tutti ci sentimmo come presi alla sprovvista dal lampo che prima, ignari di essere alla sua portata, mai avremmo creduto di vedere.
Riprendemmo a pompare, a pompare.
Guardai l'orologio, era mezzanotte meno un quarto."
Quei naviganti mi ringraziavano come avrebbero ringraziato il faro stesso.
Ma nessuno di loro ha mai saputo che fu la mia mano, intenta disperatamente a pulire il vetro, a liberare alfine quel raggio che giunse sino a loro.
Chi mi aveva dato in quell'attimo il presentimento di uscire a vedere la torre?
Mi sentivo come chiamato."
Un intervento provvidenziale per l'equipaggio del Narduccio, senza quel presentimento non so come sarebbe andata.
Velieri nel porto di Ponza
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
Il Faro della Guardia illumina con la sua luce
Il Faro della Guardia che con la sua luce, nella notte di tempesta, ha aiutato i naviganti
(Le foto sono di Giancarlo Giupponi)
Il fanalista, Filippo Vitiello, che salvò il Narduccio
(Foto tratta dal libro di Silverio Mazzella "Ponzesi gente di mare. Storie di barche, di pesca, di navigazione")
Nota:
Il Narduccio era un cutter costruito nel 1901. Nel 1942 fu acquistato da Antonio Feola (Tatonno primo) e cambiò nome prendendo quello dell'armatore.
Mio nonno Peppino Iacono è stato per un periodo, negli anni '40, al comando del Narduccio.
Il Narduccio nel porto di Ponza
Eccola:
Il 28 gennaio 1948 una violenta tempesta si scatenò sull'isola di Ponza, così raccontò Filippo Vitiello, fanalista reggente al Faro della Guardia, al giornalista Alfonso Gatto che pubblicò su Epoca del 14 agosto 1955.
"...Uscito a dare uno sguardo alla torre, m'accorsi che la salsedine in poche ore aveva reso opachi tutti i vetri della lanterna e che il faro aveva perduto la sua luminosità. Il vento urlava e sembrava portarci via le parole. Salimmo, io e il mio compagno, sul terrazzino che gira intorno alla torre, mi feci legare a una fune e mi arrampicai ai montanti della lanterna. Con una mano stretta a un appiglio, con l'altra e con tutto il braccio pulii i vetri centrali. Sulla faccia accecata dalla luce sentii che il faro riaveva il suo splendore. Erano le 23 e 45. Ricordo che scendendo fissai l'ora e i minuti per trascriverli nel giornale di servizio. Al mattino, finito il mio turno, mi recai in paese. Alcuni uomini scalzi e imbambolati, quasi fuori dal mondo, uscivano dalla chiesa, accompagnati da una folla di curiosi e di parenti.
Uno di loro, vedendomi, mi abbracciò e quasi senza fiato disse, grazie ripetè più volte.
Un altro con maggior voce tentò di spiegare: "Non vedevamo più nulla. La Narduccio incassava acqua per una falla e noi, perduta ogni speranza ormai, non pompavamo più, sfiniti, ansiosi quasi di rassegnarci alla nostra sorte.
All'improvviso il timoniere gridò: Il faro della Guardia!
..."Tutti ci sentimmo come presi alla sprovvista dal lampo che prima, ignari di essere alla sua portata, mai avremmo creduto di vedere.
Riprendemmo a pompare, a pompare.
Guardai l'orologio, era mezzanotte meno un quarto."
Quei naviganti mi ringraziavano come avrebbero ringraziato il faro stesso.
Ma nessuno di loro ha mai saputo che fu la mia mano, intenta disperatamente a pulire il vetro, a liberare alfine quel raggio che giunse sino a loro.
Chi mi aveva dato in quell'attimo il presentimento di uscire a vedere la torre?
Mi sentivo come chiamato."
Un intervento provvidenziale per l'equipaggio del Narduccio, senza quel presentimento non so come sarebbe andata.
Velieri nel porto di Ponza
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
Il Faro della Guardia illumina con la sua luce
Il Faro della Guardia che con la sua luce, nella notte di tempesta, ha aiutato i naviganti
(Le foto sono di Giancarlo Giupponi)
Il fanalista, Filippo Vitiello, che salvò il Narduccio
(Foto tratta dal libro di Silverio Mazzella "Ponzesi gente di mare. Storie di barche, di pesca, di navigazione")
Nota:
Il Narduccio era un cutter costruito nel 1901. Nel 1942 fu acquistato da Antonio Feola (Tatonno primo) e cambiò nome prendendo quello dell'armatore.
Mio nonno Peppino Iacono è stato per un periodo, negli anni '40, al comando del Narduccio.
Il Narduccio nel porto di Ponza
domenica 3 marzo 2019
I luoghi di Confino
"...Il confino è una cella senza muri, tutto cielo e mare: funzionano da muri le pattuglie dei militi.
Muri di carne e ossa, non di calce e pietra.
La voglia di scavalcarli diventa ossessionante"
Nel libro di Anna Foa "Andare per i luoghi di Confino" si racconta anche di Ponza.
Così scrive: "Ponza fu uno dei principali luoghi di confino degli antifascisti. I primi confinati vi arrivarono nel 1928. Arrivavano in catene, sul traghetto che collega Ponza a Gaeta, poi venivano liberati. La maggior parte di loro viveva nel carcere borbonico, alcuni riuscivano - anche su quest'isola - a ottenere di prendere in affitto delle stanze nelle case degli abitanti.
Il carcere borbonico era composto di due grandi cameroni comunicanti fra loro, con delle porte su cui si aprivano delle camerette piccolissime, molto ambite tuttavia dai confinati per le disastrose condizioni di freddo e umidità dei cameroni centrali. I confinati erano liberi durante il giorno di passeggiare all'aperto, però in uno spazio ristretto dell'isola. I rapporti con gli abitanti dell'isola, inizialmente difficili, diventarono migliori con il passar del tempo.
Ci furono anche alcuni, amori e rapporti con le ragazze del posto e con le prostitute. Ecco come Altiero Spinelli, che giunse al confino di Ponza nel 1937, dopo dieci anni passati in carcere, racconta nelle sue memorie, Come ho tentato di diventare saggio, il suo arrivo nell'isola:
"Condotto per la catena dai carabinieri, percorsi il molo e la breve scalinata che portava, dritta e rozzamente selciata, sulla piazza del paese facendo ala, a destra e a sinistra, al mio passaggio. Di qui (...) i confinati si affollavano. Era loro abitudine venire ad assistere al bisettimanale arrivo del piroscafo. C'erano antichi compagni di cospirazione che non avevo più rivisti da oltre dieci anni; c'erano compagni di carcere, liberati prima di me (...). Mi sentivo chiamare per nome da una parte e dall'altra, vedevo berretti e braccia agitarsi. Ero leggermente inebriato dall'accoglienza festosa, che faceva rassomigliare lo sbarco a un grottesco trionfo."
A Ponza passarono, per periodi più o meno lunghi, molti dei politici che sarebbero poi diventati i principali esponenti della sinistra italiana nel dopoguerra: fra gli altri Giorgio Amendola, Lelio Basso, Sandro Pertini, Pietro Nenni, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Pietro Secchia, Umberto Terracini."
Una pagina di storia di Ponza rimasta per troppo tempo nell'ombra.
L'ingresso del porto di Ponza
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
Altiero Spinelli, Ponza 31 agosto 1938
Rudi Ursic, antifascista al confino sull'isola di Ponza
(Foto esposta nel Museo di Caporetto, per gentile concessione di Silveria Marcone)
Questa persona non so chi sia ma sembra un confinato
I confinati nei cameroni
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
Nota:
Altiero Spinelli insieme ad Ernesto Rossi e a Eugenio Colorni scrissero il "Manifesto di Ventotene per un'Europa libera e unita".
Muri di carne e ossa, non di calce e pietra.
La voglia di scavalcarli diventa ossessionante"
Nel libro di Anna Foa "Andare per i luoghi di Confino" si racconta anche di Ponza.
Così scrive: "Ponza fu uno dei principali luoghi di confino degli antifascisti. I primi confinati vi arrivarono nel 1928. Arrivavano in catene, sul traghetto che collega Ponza a Gaeta, poi venivano liberati. La maggior parte di loro viveva nel carcere borbonico, alcuni riuscivano - anche su quest'isola - a ottenere di prendere in affitto delle stanze nelle case degli abitanti.
Il carcere borbonico era composto di due grandi cameroni comunicanti fra loro, con delle porte su cui si aprivano delle camerette piccolissime, molto ambite tuttavia dai confinati per le disastrose condizioni di freddo e umidità dei cameroni centrali. I confinati erano liberi durante il giorno di passeggiare all'aperto, però in uno spazio ristretto dell'isola. I rapporti con gli abitanti dell'isola, inizialmente difficili, diventarono migliori con il passar del tempo.
Ci furono anche alcuni, amori e rapporti con le ragazze del posto e con le prostitute. Ecco come Altiero Spinelli, che giunse al confino di Ponza nel 1937, dopo dieci anni passati in carcere, racconta nelle sue memorie, Come ho tentato di diventare saggio, il suo arrivo nell'isola:
"Condotto per la catena dai carabinieri, percorsi il molo e la breve scalinata che portava, dritta e rozzamente selciata, sulla piazza del paese facendo ala, a destra e a sinistra, al mio passaggio. Di qui (...) i confinati si affollavano. Era loro abitudine venire ad assistere al bisettimanale arrivo del piroscafo. C'erano antichi compagni di cospirazione che non avevo più rivisti da oltre dieci anni; c'erano compagni di carcere, liberati prima di me (...). Mi sentivo chiamare per nome da una parte e dall'altra, vedevo berretti e braccia agitarsi. Ero leggermente inebriato dall'accoglienza festosa, che faceva rassomigliare lo sbarco a un grottesco trionfo."
A Ponza passarono, per periodi più o meno lunghi, molti dei politici che sarebbero poi diventati i principali esponenti della sinistra italiana nel dopoguerra: fra gli altri Giorgio Amendola, Lelio Basso, Sandro Pertini, Pietro Nenni, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Pietro Secchia, Umberto Terracini."
Una pagina di storia di Ponza rimasta per troppo tempo nell'ombra.
L'ingresso del porto di Ponza
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
Altiero Spinelli, Ponza 31 agosto 1938
Rudi Ursic, antifascista al confino sull'isola di Ponza
(Foto esposta nel Museo di Caporetto, per gentile concessione di Silveria Marcone)
Questa persona non so chi sia ma sembra un confinato
I confinati nei cameroni
(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)
Nota:
Altiero Spinelli insieme ad Ernesto Rossi e a Eugenio Colorni scrissero il "Manifesto di Ventotene per un'Europa libera e unita".
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