Nell'aprile 1847 Pasquale Mattei visita le Isole Ponziane e attraverso i suoi disegni, le sue descrizioni, possiamo ammirarle.
Ecco il suo approdo a Palmarola così raccontato nel libro "L'ARCIPELAGO PONZIANO memorie storiche artistiche";
"...Palmarola ci era a vista.
Il profilo dell'isola, alla quale ci eravamo avvicinati, trovai tanto a quello di Ponza somigliante, che mi parve esser facile da lungi di scambiar l'una per l'altra. Però quando vi fummo molto dappresso, nulla più mi occorse all'occhio che balze discoscese, creste taglienti di montagne, rocce di tufo cosparse di lapillo vulcanico, masse colorate fortemente di un giallo bruno, ed un insieme di arido e d'isterilito nella scarsa vegetazione. Quelle coste apparivano per soprappiù inaccessibili, e più o meno scendenti a picco sul pelo delle acque, effetti potenti di alluvioni, per le quali tutto il terreno nella periferia dell'isola, che non misura più di sei miglia di circuito, si presenta solcato, scabro, avvallato, ed il ridosso de' monti sfranato ed informato di grandi e neri macigni. Ed è per questa medesima ragione, e più per gli effetti di una tremenda scossa che quel suolo avrà dovuto subire in altri tempi, che la estremità a sud dell'isola sporgente nel mare lascia scorgere visibilmente il distacco di una parte di essa. Era bello il distinguere il cinericcio pallido, il rosso, ed il giallo negli strati di quelle squarciate viscere del monte.
Rasentando la suddetta costa franata per inoltrarci verso il sinistro fianco dell'isola, quasi avamposti dell'esercito formidabile di scogli che coronavano le rocce bagnate dal mare, scorsi due mostruosi masi che meglio si direbbero isolette, coperti di svariate erbe muscose. A piè di uno di essi si elevava impiantato sul mare ne' suoi piè dritti uno smisurato arco, che a prima vista sorprendeva per la sua forma colossale. Ma da vicino osservato è forza riconoscere in esso uno di quei tanti fantastici capricci della natura nel suolo insulare di Ponza, di cui per lo innanzi abbiam parlato. Questo ardito monumento, che da secoli resiste agli urti potentissimi e terribili del mare, non è in sostanza che una roccia conformata in quella speciale guisa. E per tal modo ovunque meravigliato girava lo sguardo, mi si presentavano lande fantastiche, creste addentellate come il taglio di una sega, punte angolari acuminate, contrastanti a masse pesanti profondamente scavate come le pomici. Nella guisa appunto di uno spettatore non uso alle fantasmagorie di magico teatro, io mi rimasi estatico. Ad ogni tonfo di remo, una scena singolare ti si svolge innanzi come per incantesimo; ei sembra di aggirarti in un suolo che fosse appartenuto alle nordiche regioni più che alle contrade del nostro regno. Del pari non sapresti renderti ragione di un tetro e profondissimo silenzio che regna a te d'intorno nel vasto orizzonte, se non rappresentandoti la più squallida scena di sterminati deserti. Colà la tua voce è l'unica voce umana che risuoni in tutta quell'isola, attorniata da acque profonde e pericolose dall'un capo all'altro. Nè dissi a caso poè anzi umana voce, chè ben mi rimembra di scena in un sorprendente e compassionevole da belati lamentevoli di un piccolo gregge; il quale libero e tranquillo pasturava sull'erta altissima degli anzidetti isolotti, non guardato da cani, e manco da pastori. Di queste capre derelitte la coraggiosa agilità, e la sicurezza dello sgambettare fra quelle ripide balze, e lo star come ad un capello sull'orlo del precipizio era sorprendente spettacolo. Si che mai più come in quella circostanza riconobbi la giustezza del comune adagio che proclama quegli animali per antonomasia modelli di meravigliosi salti e di giocosa ginnastica. Quelle povere bestie, prese da subitanea paura al nostro troppo appropinquarci, si posero a saltellare da locuste più che da quadrupedi!..."
"...Seppi che questa tribù nomada era stata colassù rilegata in quella strana guisa per trar profitto di quella demaniale pastura, senza che l'avaro proprietario di essa vi spendesse cura nè pensiero di sorta alcuna. Così per quelle vittime l'universo è circoscritto in quei pochi palmi di discosceso e funesto soggiorno..."
" ..._Perdonate, signor mio, (così un marinaio interruppe alcune mie apostrofi di di commiserazione per quelle povere bestie), credo non valga la pena di accorarvi tanto per le condizioni di queste capre..."
" Non vi pare che sia questo più aspro calle e più disperato ancora che le isolette delle Capre ( così le chiameremo da oggi innanzi in memoria della vostra sensibile predilezione)? Ebbene: un uomo potente rilegava colassù e faceva morir di stento e di digiuno un santo Pontefice, il glorioso martire S. Silverio nostro protettore!...
E que' marinai a scoprirsi il capo riverentemente a quel nome, a sospendere il remigare, e recitar preci che nessuno osava interrompere fino a che non fummo giunti al piede del famoso Picco di S. Silverio, così addimandandosi quella roccia famosa fin da' tempi delle persecuzioni della Chiesa Cristiana.
Ed a noi davanti sorgeva infatti un'altissima roccia di forma conica, flagellata dalle onde del mare, le quali sono profondissime intorno al masso, che inabissasi a perdita di vista sino a che non tocchi il fondo di quello. In forma di penisola sporge e si eleva questa eccelsa rupe, che sembra attaccata al bel mezzo della cerchia di una spiaggia di lapillo e sabbia. E qui propriamente che il masso s'innalza dritto e quasi a picco, mentre nella parte opposta si mostra il pendio, e coperto di musco e di altre erbe spontanee. Nella vetta recisa del cono appariscono frammenti di vetuste fabbriche, e poichè mi proponeva di visitarle, cominciai dall'arzigogolare in qual modo di antichi abitatori riuscissero a guadagnare quelle alture. Investigando mi feci accorto di una serie successiva di buchi dall'alto in basso della rupe correnti sul fianco che guarda la spiaggia. Eran tali buchi ostruiti di ferro, e questa particolarità mi fece indovinare l'artificio di una pensile scala formata di spranghe orizzontali di questo metallo, che si addossava in altri tempi a quel lato, e di cui avanza appena la memoria. Nulla presentandosi la roccia da questa parte diventa inaccessibile, ed invece bisogna azzardarsi per la china opposta, che inoltrandosi nel mare, meno ripida presenta la sua schiena.
Aspettando che la barchetta fosse pronta, mi volsi a considerar l'aspetto del sito in cui eravamo sbarcati, il solo abbordabile, non essendoci in tutta l'isola che quella spiaggia sgombra di scogli.
E sulle prime l'avvallamento di quell'unica spiaggia, mi faceva congetture, che ricolmo in origine avesse potuto formare una massa con suolo circostante montuoso e vulcanico, e che per effetto de' soqquadri cui andò soggetta la profondità della spiaggia medesima, si fosse operato per la friabilità di quei massi di lava. Difatti è la sostanza di questa spiaggia come un impasto di lapillo, sabbione e tufo, reso per la sua estrema friabilità in certo modo soffice e polveroso; ed in tal grado, che quando m'apprestava per inerpicarmi sulle cime delle alture circostanti, mi era malagevole di ritirare l'un piede appresso l'altro dalla profondità di più palmi. Ma quando dalle eminenti creste di que' monti per ogni verso girai indagatore lo sguardo, stanco io ritornava, malinconico e tristo, come quando si viene da un sito di desolazione. Frastagliate costantemente le cime, effetto potente della degradazione delle masse montuose, si allargano verso il sud, e fan tentativi per ispianarsi, senza formar altro che convalli ed un sol breve ripiano..."
"...Pur nullameno non mancano concrezioni calcaree in quest'isola; che anzi i gioghi del sud ed il picco di S. Silverio sono appunto di roccia calcarea. A questa occidentale formazione è dovuto che a differenza delle lave degradate della spiaggia, sia rimasto il picco suddetto. E mostra ancora questo roccioso cono di S. Silverio gli strati a lamine l'uno all'atro sovrapposti; ma quelle che più sorprendono sono in essi strati le verticali fenditure, quasi che fossero state l'effetto di una concussione, siccome per una cagione quasi simile dell'estrema punta del sud dell'isola staccavansi violentemente le sezioni che formano i grandi scogli delle capre notanti per lo avanti.
Parecchie vestigie di fabbriche, ma rase a fior di suolo, si osservano sul piano della piccola spiaggia a' piedi del famoso picco, ed altri simili esistono sulla vetta del medesimo..."
"...Ma a qual uopo si volle costruire sulla cima di quel picco un ostello? Egli è indubitato per tener più facilmente adocchiati i Musulmani che scorrazzavano que' mari pirateggiando, essendo quell'altura una eccellente specola, mercè la quale i monaci erano a tempo avvisati per potersi imbarcare e ricoverarsi in Ponza. E forse pel medesimo uso servì a' pirati stessi, dominatori di quest'isola, fugati i monaci. E con qualche fondamento si può anche affermare che la prima idea di specola fosse Romana antica, deducendosi ciò dagli avanzi di mosaico che rimangono nel suolo chiuso da quelle fabbriche; dappoichè sembra questo genere di lavoro doversi attribuire a quel popolo, piuttosto che ai pochi monaci eremiti stanziati temporaneamente nell'isola..."
"...Ordinando alla mia ciurma comune la mensa, e vi aveva ben dritto, poichè durante la mia esplorazione aveva dato opera a raccogliere per quelle rive dovizia di squisiti testacei, volli pure commensale un vecchiarello solitario, unico vivente su questo deserto scoglio.
E fu imbandita la mensa fra i venerati ruderi monastici, all'ombra del famoso picco sacro alla memoria del Santo Martire Pontefice..."
Il Picco di San Silverio dalla Forcina di Palmarola
Rovine sul Picco di San Silverio a Palmarola
Interno della grotta di San Silverio
(Disegni di Pasquale Mattei, aprile 1847)
L'Arco di Mezzogiorno di cui racconta il Mattei
Caprette a Palmarola (Foto di Giuseppe Mercurio)