Questo racconto è tratto dal libro, pubblicato nel 1960, di Ettore Settanni "Isole del Mito PONZA VENTOTENE" :
"Una passeggiata che vi offre sorprese improvvise, da lasciarvi col cuore sospeso, è quella che, a mezzo della nuova strada panoramica, vi porta sulla collinetta di Giancos, rallegrata da un nido di casette tutte messe di sghimbescio, a dispetto uno dell'altra. Superata la svolta di quest'ultimo abitato, è la solitudine immensa del paesaggio, che ha per sfondo un semicerchio di collinette. A destra, oltre la valletta, si inerpica sul costone il raggruppamento dei Conti, che sembra fatto di una casa messa sull'altra per arrivare su, su, fino alla Croce, a mò di presepe antico. Dal lato opposto, invece, si cammina sul costone a strapiombo di Chiaia di Luna. Lo spettacolo è selvaggio e grandioso insieme: la montagna della Guardia vi appare intera fino alle propaggini di Punta del Fieno e tutto l'arco di Chiaia di Luna dall'alto offre aspetti sorprendenti per la varietà policroma della roccia - stratificata a chiazze grige, gialle, rosse - e dei riflessi in un mare che acquista cento colori.
Ma se vi allontanate a sinistra dalla panoramica e vi inerpicate sulle collinette che si protendono sul mare, vi apparirà all'improvviso la scogliera di Capo Bianco, che presenta il più fantastico assortimento di rocce dell'isola: come se qualcuno avesse gettato su questo specchio di acque azzurrissime una manciata di pezze colorate. Dopo un costone rossigno, sul quale si abbandona di traverso una colata di liparite cinerina, eccovi una lingua di roccia nitidissima, d'un candore abbagliante, che fende il cobalto delle acque come la prua d'una nave esile. Lontano è la sagoma soave, d'un roseo carne, dell'isola di Palmarola. Nessun altro punto dell'isola, e delle isole nostre, credo, vi offre un contrasto così avvincente. Capo Bianco è uno spettacolo che più vi immette in "medias res", nel dialogo fra l'uomo e la natura. Qui vi accade di zufolare un'aria che può essere stata quella di Pan, su cui all'improvviso si innesta il languore d'una litania. La natura domina, non ammette interferenze al suo capriccio: è il trionfo del vento che si precipita scivolando sui declivi in ogni direzione, ora festoso, ora inceppandosi negli anfratti, nato da zanne di infanti secolari, da antri illuvii ove da millenni infiniti le voci della terra sono trattenute da centomila ragnatele tessute dal tempo. Le nuvole nascono dal mare, quasi compissero il miracolo di dilatarlo, ascendendo al cielo.
Sono i momenti in cui questa terra arida di Ponza vi fa traboccare il cuore di commozione per le più semplici cose: la lucertola che beve a occhi chiusi il succo della radica nata ieri o un secolo fa, il sorgere d'un fiore dall'arido connubio di pietre e acque, miracolosamente, come un arboscello dal telaio d'un grattacielo di cemento armato. Qui sentite improvvisa la perfetta gioia dell'abbandono al dominio magico della natura, quella perfezione massima che, secondo gli antichi, è concessa agli uomini.
Ma attenti, un pericolo c'è! Potrebbe ripetersi l'incantesimo di cui è rimasta eterna testimonianza proprio sulla parete di roccia a mezzogiorno di Capo Bianco. Se vi accedete per mare, i marinai vi mostreranno, non senza una venerazione timorosa nella voce, lo strano Monaco di pietra scura che sovrasta il costone e nasconde ancora sotto l'ampio cappuccio di scogli il volto chino. La somiglianza è impressionante. Si racconta che quel Monaco molto pio, allorchè andava in giro per le questue, indugiava sempre qui fuori, attardandosi nella contemplazione del paesaggio, del quale si innamorava ogni giorno di più. E non è che dire che dimenticasse il Signore, chè anzi Lo laudava sul post, per la magnificenza delle Sue creazioni. Eppure, un giorno avvenne che egli dimenticasse all'improvviso la strada per il ritorno al convento, che si trovava in paese. E non si mosse più di lassù...di giorno e di notte. Una mattina, dopo un violento uragano, lo scorsero là, ingigantito e immobile. Qualcuno cercò di tirarlo per la manica del saio, e si accorse che era diventato di pietra. E la sorpresa divenne spavento, allorchè il Priore del convento, chinandosi sotto il cappuccio per richiamarlo, scoperse che i due occhi eran rimasti vivi, ma appartenevano uno al diavolo e uno a nostro Signore! Questo il destino di chi non aveva saputo discriminare fra il bello e il divino."
Capo Bianco e Chiaia di Luna nelle foto di Rossano Di Loreto