Testo e foto inviate gentilmente dal nipote Peter Verc
Peter scrive così:
"Ecco qualche frammento di Ponza trovato tra le numerose lettere spedite da mio nonno, Roman Pahor, confinato sull'isola da gennaio 1929 a fine 1932 e poi nuovamente tra il 1936 e il 1937.
Le lettere alla fidanzata e poi moglie, Angela, prima di raggiungere Trieste passavano attraverso il visto censura, sebbene fossero quasi tutte scritte in sloveno. Evidentemente a Ponza o a Napoli c'era qualcuno che parlava lo sloveno. In alcune occasioni mio nonno concludeva le missive in maniera ironica scrivendo: "non mi dilungo per non dare troppo lavoro al censore".
La prima lettera di mio nonno ad Angela è del 17 gennaio 1929 e in essa descrive il tortuoso viaggio da Trieste a Ponza con le soste a Venezia, Bologna, Roma e nel carcere di Napoli. Scrive che a Ponza soffia un vento forte, paragonabile alla bora triestina.
Angela gli chiede quindi una descrizione più dettagliata dell'isola e Roman, avendo già specificato che i confinati potevano muoversi lungo un tratto limitato, provvede nella lettera datata 2 marzo 1929. Paragona l'isola quasi senza alberi e cespugli al paesaggio spoglio che a causa della grande guerra si creò ai piedi delle colline sopra Monfalcone (cittadina famosa per il cantiere navale a metà strada tra Trieste e Gorizia). Elenca la terra rossastra, i limoni, i fichi, scrive dello scarno bestiame (poche mucche, un po' di pecore e capre, qualche asino), l'assenza di fonti di acqua potabile e infine la chiosa: "malgrado le difficoltà qui vivono circa 6000 anime e si continua a costruire".
Dopo qualche mese, a luglio, Roman riceve la visita di Angela; i due, molto probabilmente, discutono anche dell'eventualità di sposarsi (lo faranno, sempre a Ponza, il 18/2/1932) ma Roman non è di buon umore. Lo si apprende dalle lettere spedite in agosto e settembre, nelle quali si scusa per la refrattarietà nei giorni della visita di Angela. Roman è nervoso già di per sè, ma a rendere la vita ancora più difficile sono le mutate condizioni di vita a Ponza. Alcuni passaggi nelle lettere sono coperti dal nero della censura. Passa comunque una metafora nemmeno tanto velata: "da Ferragosto in poi il cielo si è fatto più grigio, segno delle tempeste con tanto di fulmini e tuoni". Il censore non copre nemmeno quest'informazione: "Abbiamo dovuto lasciare le nostre stanze e siamo tornati tutti a dormire nello stanzone comune".
Il motivo di questo repentino cambiamento è spiegato in una lettera spedita in ottobre da Napoli, dove Roman potè recarsi per due settimane per sostenere alcuni esami all'Università. Le lettere da Napoli non venivano censurate. In una di queste Roman scrive ad Angela che a causa della fuga da Lipari di Lussu, Nitti e Rosselli, anche a Ponza il confino si è fatto molto più duro. Alcuni sono impazziti, soffrono di allucinazioni e mania di persecuzione, "vedono i loro vecchi compagni versare a loro veleno nel bicchiere".
Poi, tornato dal permesso di studio a Napoli, Roman riporta altri dettagli dall'isola.
E' interessante ciò che scrive il 9 febbraio 1930: "L'altra settimana è morto un miliziano. Era di guardia di notte sopra quella parete, dove facciamo il bagno. Il poveraccio probabilmente è scivolato ed è stato trovato senza vita sopra una roccia.
Il giorno successivo 10 pescatori sono andati al largo e sono stati sorpresi da una tempesta. Cinque si sono salvati, gli altri sono stati divorati dalle onde. Ad oggi un solo corpo è stato ritrovato. Noi confinati abbiamo preso a cuore queste vittime e anche il nostro gruppo (si riferisce agli sloveni e ai croati) ha raccolto una discreta somma"."
Di Roman Pahor ne ho già scritto in questo blog,
qui
Roman Pahor nel luogo in cui è stata scattata la foto negli anni di confino
Roman Pahor con la moglie Angela e la loro primogenita Sonia
La lettera alla suocera, scritta in sloveno, per informarla dell'arrivo di Angela a Ponza