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sabato 29 luglio 2023

A lentèsca

 A lentèsca così viene chiamato nel dialetto ponzese il lentisco. La pistacia lentiscus è una pianta della macchia mediterranea, ha un forte odore di resina ed è presente nell'Arcipelago Ponziano.

Il Tricoli nella sua Monografia dell'Ottocento scrive che la lentèsca era usata come farmaco per curare la "verminazione".




Il lentisco (Immagini reperite in rete)


venerdì 28 luglio 2023

Antico modo di dire ponzese

 "U ditte antiche nu fallisce maje"

(Il detto antico non fallisce mai)

I vecchi lo dicevano sempre quando tra loro e le nuove generazioni sorgevano motivi di incomprensioni. I proverbi sono i dettami della sapienza popolare.

(Dal libro di Ernesto Prudente "A Pànje- i proverbi di Ponza")

L'isola di Ponza di tanto tempo fa (Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)







mercoledì 26 luglio 2023

L'alba ponzese vista da un viaggiatore di fine Ottocento

 Il viaggiatore è Carl Graeser che visitò le nostre isole verso la fine dell'Ottocento, ne ho già scritto in questo blog. 

Descrive i colori dell'alba all'isola di Ponza con queste parole:

"... A prima mattina, all'aurora, l'effetto è solenne, misterioso come prima di un avvenimento..."

"...Le case dalle tonalità chiare della città interrotte soltanto a volte da un violetto stanco, giacciono silenziose attorno al porto grigio e argenteo. la luce rossa - rubino della lanterna del porto lascia cadere macchie rosso - sangue sull'acqua. come una cornice di bronzo antico il verde degli orti di frutta di Santa Maria spicca sui colori opachi delle rocce frastagliate di tufo, sulle quali guizzano i primi barlumi del giorno. In mezzo promontori e scogli variopinti, tutta la distesa della costa che cambia continuamente colore fino a rischiararsi completamente. E' come un monile di mosaici sottili su seta grigio - perla, davanti alla porta dorata del cielo, ricamato con nuvolette spruzzate di rosa. 

Verrebbe voglia di pregare. "Se pregare significa: giubilare un si e un amen mi avvicino al tuo ardente amore di creatore."

Un pò di foto di albe ponzesi scattate da Rossano Di Loreto










lunedì 24 luglio 2023

La cantina

 "La cantina era il luogo di ritrovo di una volta. I bar, anzi i caffè, come si chiamavano allora, erano pochissimi e tutti ubicati nella parte centrale del paese, all'interno della zona confinaria. I militi, gli agenti, i confinati formavano la loro clientela. Erano stipendiati e potevano permettersi certi lussi.

Il ponzese quando poteva, amava frequentare la cantina.

Nella cantina fiorivano una cultura e una letteratura che si ispiravano al piacere del bere e alla gioia di stare insieme. Nella cantina si incontrava un mondo diverso ed eterogeneo.

Davanti ad un bicchiere di vino le amicizie si stringevano facilmente e con facilità si saldavano le vecchie.

Si può benissimo affermare che la cantina confortava anima e corpo. Altro che ubriaconi!

In tutta l'isola ve ne erano sette o otto disseminate un pò ovunque. Ora sono tutte estinte, come sono estinti i vecchi osti, personaggi da favola.

Era il posto, i senso generale, ma autentico, dove si mangiava bene e si spendeva poco. Un luogo che restava aperto aldilà del profitto e dove si trascorrevano interi pomeriggi a chiacchierare, a discutere di lavoro o altro e a giocare a carte. Insomma era un punto d'incontro per stare insieme, un luogo di aggregazione sociale. 

Sulle orme della vecchia cantina è nata ed è cresciuta "La Lanterna", una trattoria tra le più rinomate e ricercate dell'isola. 

La cantina si animava nel pomeriggio specialmente quando le condizioni atmosferiche non permettevano ai pescatori di prendere il mare e ai contadini di recarsi in campagna."

(Ernesto Prudente)


Erasmo, proprietario della cantina "La Lanterna" in piazza Gaetano Vitiello, ncòppe a Pònte Jànche. 

Oggi è una trattoria


venerdì 21 luglio 2023

Il nostro San Silverio

  Noi ponzesi amiamo il nostro San Silverio, guardando la statua del Santo è come se guardassimo nostro padre. Dobbiamo conservarla con amore.

Questo episodio che sto per raccontare è giunto a noi grazie alla testimonianza di alcuni confinati presenti sull'isola. 

Verso la metà degli anni '30, il 20 giugno, scoppiò un incendio in chiesa forse provocato dai ceri accesi. La statua di San Silverio rischiò di essere danneggiata seriamente dal fuoco. Bruciarono le banconote di dollari donate dai fedeli giunti dagli Stati Uniti che erano ancora attaccate alla statua dopo la processione.

Ma abbiamo anche la testimonianza di Walter Audisio che così scrive: "...Povero S.Silverio! Lo vidi all'indomani, nudo come un verme, affumicato e bruciacchiato, nello studiolo che il compagno Giorgi, aveva allestito in una stanzetta al "prato della miseria". Era con lui il compagno Callegari di Milano, fine stuccatore, dediti entrambi a ripristinare le soavi fattezze del vecchio Santo barbuto e a far sparire le tracce che il fuoco pareva aver lasciato sulla sua corruscata fronte"


La statua di San Silverio


Una processione di San Silverio di tanto tempo fa, credo anni '80. Si vede zio Silverio Musella


Processione di San Silverio, credo, anni '40


La statua di San Silverio dopo un restauro

mercoledì 19 luglio 2023

La nave "Silvia Onorato" e Italo Balbo

 La nave Silvia Onorato fu acquistata verso la metà degli anni '20 da Vincenzo Onorato, armatore ponzese, che le diede il nome della moglie. 

Della Silvia Onorato racconta Ernesto Prudente, il cui papà, Umberto,  era il capitano della nave.

Ecco cosa scrive:

"La nave, "Silvia Onorato", navigava verso la Sardegna. Era partita nel pomeriggio da Castellammare di Stabia, dopo aver fatto scalo a Torre Annunziata, con direzione Cagliari. Era una nave in ferro azionata da una macchina a vapore che sviluppava una velocità di circa dieci miglia l'ora. Le navi con macchine a vapore erano definite piroscafi. Il "Silvia Onorato" era il primo "vapore" della marineria ponzese che a quei tempi era ricca di bastimenti a vela, con piccoli motori ausiliari, che collegavano diversi porti del golfo di Napoli con altrettanti scali sardi per il trasporto di qualsiasi genere di derrate. Alcuni addirittura sbarcavano le merci  nelle spiagge per mancanze di strade di collegamento tra le città dotate di porto e i paesi rivieraschi. In  Sardegna si portava tutto dal continente, dalle patate alla frutta, dalle ceramiche di qualsiasi genere alle stoviglie, dalla pasta alla birra, alle verdure. Nei porti sardi si caricava per il continente formaggio, bestiame, sughero e, da Olbia, anche le cozze. 

Di quella nave, il cui armatore era Vincenzo Onorato, mio padre era il capitano. L'equipaggio era formato da quindici persone, nove di coperta e sei di macchina. 

A quell'ora il turno di guardia era formato da tre uomini in plancia, nostromo e due timonieri, e due in macchina, caporale e fuochista. Gli altri riposavano nelle rispettive cabine in attesa del loro turno di guardia. All'improvviso il marinaio che stava sulla aletta notò le luci di posizione di un aereo che volava a bassa quota, a poche decine di metri dalla testata degli alberi della nave, e richiamò subito l'attenzione dei colleghi.

L'aereo, che era apparso di poppa, superò la nave e dopo breve tempo invertì la direzione di volo ritornando sulla nave sulla quale fece, poi, una serie di giri.

I marinai capirono che l'aereo era in difficoltà per cui pensarono bene di avvertire il capitano che in quel momento riposava. Uno di loro scese immediatamente dalla plancia bussando alla porta della cabina di mio padre. Entrò e riferì minimamente dell'accaduto. 

Mio padre diede ordine di tenere la prua sempre sull'aereo, di svegliare il macchinista, perchè preparasse la macchina alla manovra, e tutto l'equipaggio. 

Tutto avvenne in un momento.

Quando raggiunse la plancia, l'aereo toccava la superficie del mare. L'impatto, per la bravura del pilota , fu dolce. Mentre la nave si avvicinava lentamente all'aereo venne calato il canotto dove presero posto due marinai che agirono con la dovuta previdenza e opportunità per legare una cima a prua e uno a poppa dell'aereo per poterlo affiancare alla nave senza l'uso dell'elica. Si volle evitare qualsiasi urto che potesse generare la catastrofe. 

Sistemata ogni cosa, mio padre disse  al fratello di raggiungere la carlinga sull'ala dell'aereo per far uscire i componenti l'equipaggio. Tutto avvenne secondo gli ordini impartiti. Il personale dell'aereo, uno alla volta, raggiungeva la nave camminando sull'ala. Quando mise la testa fuori un signore con la barba, mio zio, impressionato dalla notorietà del viso, rivolgendosi a mio padre disse:" Fratiè ca ce stà pure l'eccellenze" e mio padre, di rimando, con la sua solita ironia, dettata anche dalla particolarità del momento: "buttalo nel bidone".

Esaurita la fase riguardante il trasbordo del personale si provvide all'aereo per il suo rimorchio.

Quando mise piede nella sua cabina notò subito che quel signore con la barba era veramente "l'eccellenza" come gli aveva preannunziato il fratello.

Era Italo Balbo, Maresciallo dell'Aria e governatore della Libia.

Mio padre lo ragguagliò subito della situazione: il "Silvia Onorato" non aveva la stazione ricetrasmittente per cui non poteva comunicare con la terraferma per dare loro notizie; la nave era diretta a Cagliari che avrebbe raggiunto nella mattinata seguente e che per dare notizia nel più breve tempo si doveva fermare il postale Cagliari- Napoli, munito di apparecchiature radiotelegrafiche. 

Si optò per questa soluzione. 

Dopo circa due ore di navigazione, come previsto dai calcoli affiorarono all'orizzonte i fanali del "Mocenico" che da Cagliari era diretto a Napoli. 

Dal "Silvia Onorato" vennero fatti segnali che indussero la nave a rallentare e a fermarsi. Il "Silvia", essendo molto più piccolo, si portò sottobordo e mio padre con il megafono raccontò l'accaduto e chiese che mettessero in mare una scialuppa per il trasbordo di quelle persone.

Tutto avvenne regolarmente. Sulla piattaforma della scala reale, prima di prendere posto sull'imbarcazione, Balbo ringraziò mio padre e l'equipaggio e nell'abbracciarlo gli disse anche che lo avrebbe fatto nominare Cavaliere d'Italia. Al che mio padre espresse il desiderio che tale nomina fosse destinata all'armatore della nave: Vincenzo Onorato. cosa che avvenne. 

Con mio padre si era creato solo un rapporto di amicizia che a Balbo, puntualmente, in ogni ricorrenza importante, piaceva ricordare."

La nave "Silvia Onorato" durante la Seconda Guerra Mondiale venne militarizzata al servizio della Regia Marina facendo la spola tra La Maddalena ed il continente.

Il 20 luglio 1943 venne affondata durante il viaggio tra Bastia e La Maddalena  da un sommergibile inglese. Persero la vita i ponzesi Silverio Onorato e  Raffaele Tagliamonte. 


La "Silvia Onorato" prima nave da carico di Vincenzo Onorato, 1924


L'idrovolante di Italo Balbo

lunedì 17 luglio 2023

U garòfene i San Silverio

U garòfene (il  garofano) rosso è il fiore di San Silverio, è il simbolo del suo martirio. 

Il vero garofano di San Silverio non è quello che viene messo nella barchetta che porta il Santo in processione perchè è più piccolo, è  leggermente più chiaro ed è  molto profumato come ci racconta in un video Danilo Conte.

Un tempo, ma forse qualcuno lo fa ancora, veniva coltivato, oltre che nel terreno, anche nelle tèste così venivano chiamati nel dialetto ponzese i vasi.

(Le immagini del garòfene i San Silverio sono tratte dal video di Danilo Conte che ha diverse piante di questo fiore nel suo terreno ai Faraglioni)



I garòfene i San Silverio


I garòfene diversi, più rossi e senza profumo

sabato 15 luglio 2023

A Madonne u Carmene

 A Madonne u Carmene viene festeggiata il 16 luglio, a Ponza, davanti ad alcune edicole votive.

La festa che io ricordo di quando ero bambina era quella che si faceva sulla scalinata del Giudicato dove c'è un'edicola votiva dedicata alla Madonna del Carmine.
Sulla loggia venivano messe tante bandierine colorate per la gioia di noi bambini e davanti all'edicola della Madonna vasi con fiori freschi.
Nelle case preparavano dolci da offrire ed io ricordo con nostalgia le nocchette di nonna Olimpia.
Una squisitezza!!!
Poi non si è più festeggiato perchè una parte delle case crollò ma l'edicola c'è ancora.
Sulla Parata si festeggiava davanti all'edicola collocata sul muro della casa di Ndunètte e Tatore Rispoli. Ci tenevano tanto a questa festa...
Oggi, forse, recitano ancora il Rosario e cantano delle belle canzoni dedicate alla Madonna.
Anche su Via Corridoio c'è un'edicola dedicata alla Madonna del Carmine.
Le edicole votive sui muri delle abitazioni o nei cortili, un tempo, erano luoghi di aggregazione


A Madonne u Carmene sul Giudicato (foto di Marianna Licari)


A Madonne u Carmene in via Corridoio


A Madonne u Carmene ncòppe a Parata



Ndunètte e Tatore

giovedì 13 luglio 2023

La Madonna della Galite

 "Antonio D'Arco, il primo abitante residente dal 1843, raccontò che una roccia dalla vaga figura rassomigliante la Madonna con il Bambino, che si può riconoscere sulla parete a ovest del "porto", e che diede il nome al promontorio, "Punta della Madonna". Al "porto" essendo a ridosso dei venti del I e II quadrante si era soliti sostare con la barca, e proprio sotto la parete. Una notte, in sogno, si sentì chiamare così insistentemente da svegliarlo e constatando che i suoi compagni di bordo dormivano tutti, si rimise a dormire. Ancora una volta fu svegliato da quella voce misteriosa. Impaurito per il ripetersi del sogno convinse i compagni a spostarsi da quel ridosso con la barca, temendo un malefico sortilegio. Da lì a pochi minuti una enorme frana fece scivolare a mare una grande quantità di detriti, proprio nello specchio d'acqua dove erano con la barca. Se il vecchio D'Arco non avesse sognato quella voce sarebbero sicuramente morti investiti rovinosamente dalla frana."

(Tratto dal libro di Silverio Mazzella "Le ore del giorno, i giorni dell'anno, gli anni della vita")


La Galite, 1939


L'isola de La Galite


Antonio D'Arco a La Galite


mercoledì 12 luglio 2023

Don Aniello Conte, cappellano dell'ergastolo di Santo Stefano, e la scarcerazione di Don Giovanni

 Di Don Aniello Conte, cappellano dell'ergastolo di Santo Stefano ne ho scritto più volte. Conoscevo il caso Corbisiero, detenuto innocentemente,  che Don Aniello con la sua testimonianza fece scarcerare ma ho trovato altro.

Leggendo il libro "Ventotene da confino fascista a isola d'Europa" di Pier Giacomo Sottoriva  ho trovato un brano in cui si racconta che Don Aniello Conte ha fatto scarcerare un prete sardo, Don Giovanni, detenuto a Santo Stefano, che non aveva commesso il delitto per cui espiava nell'Ergastolo.

Ecco il brano:

"...Ne fu ospite anche un parroco, certo don Giovanni, che dalla Sardegna vi era trasferito per espiare una condanna all'ergastolo per un delitto che non aveva commesso. Fu restituito alla vita e alla funzione sacerdotale dal parroco del carcere, il ponzese don Aniello Conte, che dedicò tutta la sua vita di missionario in patria a sostenere le malinconie, i pentimenti e anche lo spirito ribelle degli ospiti dell'ergastolo. Fu lui che provocò la revisione del processo che aveva condannato il sacerdote sardo, altre indagini che portarono alla cattura del vero colpevole e che fece restituire alla libertà il suo collega in talare. Questo episodio è narrato dal compianto don Paolo Capobianco, per decenni parroco di Gaeta, e che, una volta in pensione, volle trascorrere i suoi ultimi e fecondi anni nella tranquilla casa di riposo di Ventotene, posta accanto alla chiesa di Santa Candida, da dove proseguì il suo lavoro di raccontatore di storie antiche e recenti della sua gente (v. L'ergastolo di S.Stefano, i reclusi e don Giovanni parroco condannato, sul mensile "il Golfo" del 15 gennaio 1993"

Il racconto di don Paolo Capobianco a proposito di questa storia sul mensile "Il Golfo":

"...Ho conosciuto il cappellano del carcere di Santo Stefano, Don Aniello Conte da Ponza. Era già avanzato negli anni, quando mi sono incontrato con lui per la prima volta. Dalla sua viva voce ho appreso molte delle notizie su esposte.

Don Aniello Conte secondo il Cuore di Dio, integerrimo, umile, nascosto agli occhi del mondo. Tutta la sua vita di sacerdote l'aveva spesa tra i carcerati di Santo Stefano. Li conosceva uno per uno i suoi cari ergastolani; di ognuno sapeva la luttuosa tragedia che l'aveva condotto a Santo Stefano.

Don Aniello fu l'uomo di Dio e della galera; egli era memore delle parole di Cristo Signore: "ero in carcere e veniste a trovarmi" (Matteo 25, 36). Amò di vero cuore i suoi carcerati, li amò fino all'eroismo della propria vita. Quei poveri emarginati della società trovavano in Don Aniello il padre, il fratello, l'amico fedele. Don Aniello , animato dal suo zelo sacerdotale, ha fatto riesumare il processo di un sacerdote parroco della Sardegna, che da 18 anni espiava il delitto non commesso, a Santo Stefano.

Riesumato il processo, interrogati i testimoni ancora in vita, scovato il vero autore dell'atroce delitto, il sacerdote risultò innocente e fu scarcerato.

Monsignor Arborio Mella di Sant'Elia del Vaticano, si interessò perchè il sacerdote ergastolano venisse in terraferma ed inviò da Roma un monaco trappista delle tre Fontane a prelevarlo. Ricordo, perchè ho assistito quando al pontile "Costanzo Ciano" di Gaeta, dove si ormeggiava il postalino proveniente dalle isole ponziane, sbarcò il monaco ed il sacerdote, che indossava un vestito molto dimesso. Erano i primi giorni di giugno del 1942. Monsignor Arborino Mella di Sant'Elia, suo paesano, gli inviò, da Roma, tutti gli abiti da sacerdote.

Era il giorno del "Corpus Domini" di quell'anno 1942; ci trovavamo in sacrestia della cattedrale e si facevano i preparativi della processione; si trovava presente anche l'ex ergastolano-sacerdote, che indossava, per la prima volta, dopo 18 anni una "talare" nuova. Mons. Arcivescovo Casaroli invita quel sacerdote ad indossare la cotta bianca e prendere parte alla processione del SS. Sacramento con il clero. Quando Don Giovanni, tale era il suo nome, si trovò vestito con la sottana e la cotta bianca, si sentì riabilitato sacerdote, scoppiò in un dirotto pianto, tale che fece piangere tutti noi presenti..."

Nota :

Don Aniello Conte, cappellano dell'ergastolo di Santo Stefano era un mio prozio, il fratello di nonno  Salvatore. Mia madre Elvira raccontava spesso di lui.


L'ergastolo di Santo Stefano


L'ergastolo di Santo Stefano visto dall'alto


Don Aniello Conte, cappellano dell'ergastolo di Santo Stefano



Il racconto di don Paolo Capobianco sul mensile "Il Golfo" 
(Un ringraziamento va a Filomena Gargiulo)

domenica 9 luglio 2023

La Madonna delle Grazie a Campo inglese

 A Campo Inglese, isola di Ponza, c'è una bellissima edicola votiva dedicata alla Madonna delle Grazie eretta anticamente "A Divozione di Aniello Ruggiero".

L'immagine sacra è stata realizzata su mattonelle di ceramica. Recentemente è stata sostituita con una copia simile a quella antica. 

Continua così il culto Mariano.

Ogni 2 luglio, giorno della festività, gli abitanti della zona, un tempo, si riunivano davanti a questa edicola votiva per recitare il Rosario.

Le foto sono state gentilmente concesse da Anna Romano e Silverio Vecchione










Ecco l'immagine antica che era molto rovinata (Foto tratta dal libro di Silverio Mazzella" Le ore del giorno, i giorni dell'anno, gli anni della vita")

venerdì 7 luglio 2023

Bambini ponzesi nella metà degli anni '20

 Nell'album di famiglia ho trovato questa foto dove sono ritratti tre bambini.

Il primo a sinistra è zio Silverio Iacono, il bambino a destra è mio padre Ciro. Al centro non so se è zia Francesca, non si capisce bene. 

Da notare il fazzoletto che hanno nel taschino...nonna Olimpia ci teneva alle finezze.



mercoledì 5 luglio 2023

Nèpete i San Giuvànne

 La mentha pulegium in dialetto ponzese viene chiamata nèpete i San Giuvànne e la possiamo trovare sia a Ponza che a Zannone.

I fiori si raccolgono al mattino del 24 giugno, giorno di San Giovanni, e fatti essiccare all'ombra. Possono essere usati per infusi e decotti per alleviare il mal di pancia.

(Notizie attinte dal libro di G. S. Mazzella "Flora illustrata di Ponza")

(Le immagini della nèpete i San Giuvànne sono tratte dal video di Danilo Conte che ha questa pianta nel suo terreno ai Faraglioni)







martedì 4 luglio 2023

Il volo di una farfalla

 Una farfalla fa ritrovare la fede nuziale di Alessio Ghersi, pilota delle Frecce Tricolori, scomparso tragicamente il 29 aprile scorso in un incidente aereo.

Una cosa che ha dell'incredibile...

La famiglia del pilota ha contattato la SOS metal detector, un'associazione di volontari che aiuta coloro che hanno perso qualcosa di prezioso chiedendo di ritrovare la fede nuziale del loro congiunto. 

Il luogo da perlustrare, dove è avvenuto l'incidente aereo, è impervio e presenta notevoli difficoltà.

Quando tutto ormai sembrava impossibile una farfalla ha sfiorato il volto di uno dei volontari ed ha iniziato a volteggiare intorno al metal detector spostandosi sul terreno in cui c'era un groviglio di metalli. 

Il giorno  seguente come per un presentimento i due volontari hanno fatto controllare quel groviglio da un orafo che ha trovato delle parti d'oro e dopo un'accurata pulizia sono affiorate parti dell'anello nuziale del pilota.

Questa cosa mi ha fatto molto pensare...

Ora racconto qualcosa che può essere una casualità... non so..

Dopo la scomparsa di mio padre Ciro entrando nella cappella del cimitero di Ponza dove lui riposa e  mancando da lungo tempo mi è venuto spontaneo dire queste parole: "Eccomi papà sono arrivata!!!" In quel preciso momento si è staccato un fiore dal rametto di orchidea che era nel vaso. 

Ed ancora, l'anno successivo, stessa modalità mi è sfrecciata davanti una lucertola. 

Voglio pensare che siano segnali della sua presenza...voglio crederci

Credo, spero, che loro, i nostri congiunti scomparsi, anche se sono in un'altra dimensione siano vicini a noi.


Una farfalla

La Cappella dove riposa mio padre


La Cappella (Foto di Marianna Licari)



Un rametto di orchidea


Lucertola ponzese (Foto di Marianna Licari)