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venerdì 30 aprile 2021

Un bellissimo fiore

 La foto di questo fiore scattata, all'isola di Ponza, da Rossano Di Loreto è troppo bella. Credo sia il fiore dell'euforbia ma non ne sono sicura.

La pianta dell'euforbia, viene chiamata in dialetto ponzese  cecauòcchje.
L'euforbia è legata ai filtri magici della Maga Circe che spezzando una parte della pianta ricavava il lattice bianco che fuoriusciva.
Ma un tempo gli isolani usavano l'euforbia anche per le virtù terapeutiche. Il lattice curava i porri e i semi erano usati come purgante ma non doveva venire a contatto con gli occhi perchè poteva causare irritazioni.
Da qui il nome cecauòcchje.

(...e al cibo aggiunse farmachi maligni si che obliasser la lor patria terra...)
Omero, Odissea X 338,39



Foto di Rossano Di Loreto, aprile 2021

mercoledì 28 aprile 2021

Gli antenati

 Rovistando tra i cassetti della memoria ho ricostruito un po' la storia della mia famiglia. Mi ha aiutata nella ricerca Philippe che non finirò mai di ringraziare.

Come dice lui intrecciando un po' di dati alla fine, a Ponza, siamo tutti parenti.
In questo post scriverò dei miei antenati del ramo materno, i còppe i Cuonte.
I nonni di mia madre erano Placido Conte e Agnese Vitiello (nipote di quel Nicola che nell'Ottocento si diede un gran da fare nella vita ponzese, come scrive Corvisieri).
Abitavano in una casa ncòppe i Cuonte con una grande cantina in cui c'erano i palemiènte, grandi vasche dove si pigiava l'uva delle loro vigne, le botti con il vino, anche la mole per macinare il grano. Poi c'erano le grotte in cui ricoveravano gli animali, quali l'asino, il maiale, conigli, galline ed una bella curtèglie (cortile).
Erano contadini, vivevano con i prodotti della loro terra.
Placido ed Agnese ebbero quattordici figli tra cui nonno Salvatore che era il più piccolo (contadino), don Aniello (sacerdote) Carlo (carabiniere), Benedetto ed altri, quattro morirono in tenera età.
Sia a Ponza che in giro per il mondo ci sono tanti loro nipoti e pronipoti.
Mia madre non ha mai conosciuto i suoi nonni perchè sono scomparsi Placido nel 1912 e Agnese nel 1921, prima della sua nascita.
Peccato non avere altre notizie di loro, ormai non c'è più nessuno che possa dirci qualcosa.
Quando nonno Salvatore si sposò con nonna Assunta, Placido e Agnese gli regalarono come dono di nozze un Bambinello bellissimo, con due guance rosa che era posizionato sul comò della camera da letto in una campana di vetro.
Lo ricordo molto bene...




Ncòppe i Cuonte


Il mio bisnonno Placido Conte
Figlio di Antonio Conte e Maria Giovanna Feola, discende da quel Pasquale Conte giunto a Ponza da Ischia con il primo gruppo di coloni.


La mia bisnonna Agnese Vitiello
Figlia di Luigi Vitiello e Angela Maria Mazzella.
Discende da Antonio Vitiello e Rosa Narbonese tra i primi coloni provenienti da Torre del Greco.


Ncòppe i Cuonte com'era


Il Bambinello che i bisnonni regalarono in occasione del matrimonio di Salvatore ed Assunta                               

Perdere il passato significa perdere il futuro
Wang Shu

lunedì 26 aprile 2021

L'aglie sarvàteche

 Bellissimi fiori colorano l'isola di Ponza...cerchiamo di dare dei nomi

Nella prima foto è il fiore  dell'allium triquetrum, l'aglio triquetro, chiamato in dialetto ponzese aglie sarvatèche. Cresce lungo le strade e nei terreni incolti.

Potrebbe essere l'erba moly che Ermete diede ad Ulisse  per farlo sfuggire dall'incantesimo della maga Circe.

Chissà...

Ma, nelle foto successive, c'è anche l'allium roseum, l'aglio roseo, che nella medicina popolare era usato come vermifugo.



Fiori dell'allium triquetrum 

(Foto di Annalisa Sogliuzzo, aprile 2021)





Fiori dell'allium roseum

(Foto di Rossano Di Loreto, aprile 2021)


sabato 24 aprile 2021

La Festa della Liberazione

 In questo giorno ricordiamo che il 25 aprile 1945 ci fu la fine dell'occupazione nazista, la caduta del fascismo.

Per combattere il nazifascismo, in quegli anni, si era organizzata la Resistenza formata dai partigiani.
Anni di lotte, di sacrifici per conquistare la libertà.
Una pagina di storia, quindi, molto importante.
Furono anni terribili ma alla fine riuscirono a vedere l'Italia libera, altri, purtroppo, come Mario Magri, Antonio Camporese non ebbero questa possibilità.
Mario Magri, marito della ponzese Rita Parisi, fu trucidato alle Fosse Ardeatine.
Antonio Camporese fu ucciso dai tedeschi il 28 aprile 1945 a Porta Savonarola, una delle vie d'accesso di Padova, proprio mentre era in corso l'ultimo scontro armato in quella città.
Aveva solo 39 anni, nel pieno della vita...
Era nato a Padova il 21 febbraio 1906 ed era un operaio meccanico che durante il regime fascista, per le sue idee, venne mandato in carcere e poi al confino, anche nell'isola di Ponza.
E proprio all'isola di Ponza conobbe e sposò una donna ponzese, Carolina Guarino, che condivise con lui anni difficili e di persecuzioni visto il momento ed il contesto in cui si trovarono.
Antonio Camporese, dopo la sua morte, venne insignito, dallo Stato Italiano, della medaglia d'argento al valor militare con questa motivazione: "Distintosi in azioni di sabotaggio durante tutto il periodo dell'occupazione tedesca, partecipò attivamente ai combattimenti, intesi ad impedire l'accesso al nemico alla città di Padova, al momento della ritirata, per preservare l'abitato da inevitabili distruzioni, incontrando gloriosa morte".

Onore a questi eroi, spesso dimenticati, che hanno fatto grande l'Italia.

Sono tante le storie italiane che non sono scritte nei libri.
Non possiamo dimenticare.

Buon 25 aprile!!!



Antonio Camporese



Antonio Camporese con la moglie Carolina Guarino
                                                                                         
    
 

venerdì 23 aprile 2021

Un munacièllo dispettoso, appassionato di musica

 Questa storia che sto per raccontare l'ho tratta dal libro " Le ore del giorno i giorni dell'anno gli anni della vita" di Silverio Mazzella. Il libro è ricco di storie, aneddoti, tradizioni dell'isola di Ponza.

"Era da pochi mesi finita la Seconda Guerra Mondiale che tanti lutti aveva portato anche sull'isola. La vita lentamente riprendeva in quel lembo di terra dimenticata che era Le Forna. Nonostante le difficoltà per la pesca e per i lavori di campagna la speranza riappariva negli animi degli isolani dopo molta fame, lutti ed emigrazione. 

Una sera inaspettatamente una musica soave e dolce di violini e mandolini usciva dalla casa di Silveria e Letizia. I vicini accorsero con grande curiosità pensando che le padrone di casa avessero acquistato uno di quei grammofoni di cui la povertà aveva per decenni  impedito la diffusione. Ma nulla di tutto ciò s'era verificato. Silveria pure era rimasta sorpresa. Entrarono e tutto si acquietò, la musica non si sentiva più e nessun grammofono o suonatore di mandolino era in casa. Subito si pensò al munacièllo. Per quella sera non successe più nulla, ma in quelle successive, quando in casa non c'era nessuno, la musica accompagnava deliziosamente ed armoniosamente finanche i balli che si andavano ad organizzare nel piazzale antistante l'abitazione. La cosa che inizialmente sembrava piacevole incominciò a preoccupare Silveria e soprattutto il parroco che intervenne per esorcizzare questo ormai fastidioso fenomeno. Riuscì a spostarlo in una casa poco distante suscitando astio nel munacièllo che con comportamento dispettoso iniziò a produrre rumore di vetri e piatti in frantumi, frastuoni di mobili caduti a terra e tintinnii  di catene di ferro al posto di musiche melodiose. Si chiamò un esorcista più potente che, arrivato da Gaeta, con fatica riuscì a mandarlo via senza farlo più ritornare."



Le Forna


U munacièllo


Il grammofono

martedì 20 aprile 2021

La chiesetta di San Silverio a Napoli

 Dove c'è un ponzese c'è San Silverio...

" A Napoli vi era un nutrito gruppo di ponzesi guidati da zia Rosina Di Fazio e ci si riuniva ogni venti del mese nella chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli in piazza Municipio proprio nell'edificio comunale. Zia Rosina portava la statua di S. Silverio, si celebrava la messa solenne e si chiudeva il rito con l'inno al nostro Santo. Poi a giugno si celebrava la messa cantata con 5 sacerdoti. Con i lavori ordinati da Achille Lauro fu un po' difficile raggiungere la chiesa allora mamma e zia Rosina con zio l'on Geppino Coppa chiesero ospitalità alla piccola chiesa stretta vicino al palazzo dei telefoni in via Depretis, ora chiesa dell'UCAI. S. Silverio ebbe il suo primo altarino fisso sul lato destro. Ogni venti si celebrava la messa con tutti i ponzesi e zia Rosina era in testa a guidarci. A giugno festa grande. Avevo dodici anni e assistevo con mia madre, in chiesa, all'allestimento dei parati sull'altare maggiore per la prossima festa del 20 giugno, il sagrestano che era divenuto anch'egli devoto del nostro protettore, su una lunghissima scala stendeva le lunghe stoffe damascate rosse e bianche. Ad un certo punto si sporse troppo e perdendo l'equilibrio cadde lo sentimmo gridare "San Silverio aiutami!" Mia madre gridava, zia Rosina con le mani nei capelli corse all'altare, io non ricordo cosa feci ricordo solo che mi ritrovai vicino alla scala , il sagrestano era seduto e sorrideva il volto pieno di lacrime diceva: "MMA pigliato braccio e ma purtato chiano chiano nterra" Pochi giorni dopo la festa fu straordinaria, il sagrestano era al centro dell'attenzione e raccontò il fatto. Zia Rosina, mamma, zio Geppino Coppa si riunirono e decisero che bisognava trovare una sede definitiva anche piccola, ma sola per il nostro Santo. Mio zio Vincenzo Lettieri e mia madre che erano gli unici proprietari del grande cortile all'interno nel palazzo di via Giovanni Paladino 8 offrirono il suolo, mio zio costruì la piccola cappella con i soldi raccolti fra i ponzesi, fu comprato l'altare, la porticina di custodia la offrì mia zia Giuseppina. Mia madre fece realizzare dal prof Minucci la tiaria in argento e pietre dure ed il triregno, fece restaurare pittoricamente da Mimmo Esposito la statua e il 20 giugno del 1954 con la messa celebrata da Mons. Trigilio delegato dal cardinale di Napoli, da padre Scarpelli parroco di S. Filippo e Giacomo nel cui territorio è via Paladino, e dal rettore del Gesù Vecchio fu consacrata la chiesa di S. Silverio. Zia Rosina e l'avv. Mario Coppa fratello di zio Geppino, tennero i discorsi dell'occasione. Da allora ogni venti del mese e ogni venti giugno vennero celebrate messe sempre affollate ed intense. Il venti giugno differiva solo perché tutto il grande cortile ed il portone erano ricoperti di teli damascati bianchi e rossi con grandi frange dorate. Al termine della messa cantata con tre sacerdoti il bacio della reliquia che ora è di fianco al mio letto al collo della piccola statuetta di S. Silverio che mia madre mi ha regalato quando mi sono sposato e trasferito in Calabria. Poi, purtroppo, mani sacrileghe approfittando dei danni causati dal terremoto del 1980, hanno rubato tutto lasciandoci solo un nudo e vuoto altare senza neanche la porticina di custodia....pazienza sia fatta la volontà di Dio .

Mamma e mio zio costruirono anche un'altra microscopica chiesetta di pochi metri quadrati, sempre dedicata a S. Silverio, sulla litoranea di Torre del Greco dove d'estate si celebrava la messa ogni domenica per tre mesi, per tutti i condomini del vicinato spesso partecipavano oltre cento persone. La piccola chiesa esiste ancora, non so però se dicono ancora messa nelle domeniche d'estate."

Racconto e foto concesse gentilmente da Eduardo Filippo di origine ponzese. La mamma era Silveria Albano, figlia di Lucia Conte e Salvatore Albano.




Napoli 1957, Prima Comunione dei fratelli più piccoli. La mamma Silveria con il vestito nero. Dietro, sull'altare, si intravede la statua di San Silverio



Il giorno della festa





Inviato da te Ieri alle ore 23:

Inviato da Eduar

domenica 18 aprile 2021

Il trifoglio stellato

 Guardando le foto che Annalisa Sogliuzzo pubblica quotidianamente dall'isola di Ponza mi è apparso un fiore che non conoscevo. Ovviamente ho fatto qualche ricerca ed ho scoperto che si chiama Trifolium stellatum (trifoglio stellato) il cui calice è a forma di stella. In dialetto ponzese viene chiamato Patrìlle. 

E' una pianta che cresce in luoghi aridi e sassosi, anche ai bordi delle strade. Possiamo trovarla anche nell'Arcipelago Ponziano ed appartiene alle Leguminose.








Trifoglio stellato chiamato in dialetto ponzese "patrìlle". Sullo sfondo la splendida Chiaia di Luna
(Foto di Annalisa Sogliuzzo, aprile 2021)

venerdì 16 aprile 2021

Il nostro San Silverio

 Noi ponzesi amiamo il nostro San Silverio, guardando la statua del Santo è come se guardassimo nostro padre. Dobbiamo conservarla con amore.

Questo episodio che sto per raccontare è giunto a noi grazie alla testimonianza di alcuni confinati presenti sull'isola. 

Verso la metà degli anni '30, il 20 giugno, scoppiò un incendio in chiesa forse provocato dai ceri accesi. La statua di San Silverio rischiò di essere danneggiata seriamente dal fuoco. Bruciarono le banconote di dollari donate dai fedeli giunti dagli Stati Uniti che erano ancora attaccate alla statua dopo la processione.

Ma abbiamo anche la testimonianza di Walter Audisio che così scrive: "...Povero S.Silverio! Lo vidi all'indomani, nudo come un verme, affumicato e bruciacchiato, nello studiolo che il compagno Giorgi, aveva allestito in una stanzetta al "prato della miseria". Era con lui il compagno Callegari di Milano, fine stuccatore, dediti entrambi a ripristinare le soavi fattezze del vecchio Santo barbuto e a far sparire le tracce che il fuoco pareva aver lasciato sulla sua corruscata fronte"



San Silverio veniva portato in processione su  un trono. Accanto al marinaio, con la camicia bianca c'è nonno Peppino Iacono.



La statua di San Silverio, giugno 2020

(Foto di Giovanni Pacifico)


mercoledì 14 aprile 2021

Uastaccètte

 Ci descrive questa pianta il grande Ernesto Prudente che ci ha lasciato un patrimonio inestimabile sulla storia, sulle tradizioni, sul dialetto delle nostre isole Ponziane.

Ecco cosa scrive in "ALFAZETA voci del dialetto ponziano":

" Uastaccètte - guastaccetta. Pianta della macchia mediterranea che non è diffusa dappertutto. Manca a Zannone. Appartiene al gruppo delle ginestre tanto che il suo nome scientifico è: "genista ephedroides". Il legno del tronco, che in alcuni luoghi si eleva oltre i quattro metri, è di una durezza inaudita. Lo si usava come sostegno delle viti. Ha una caratteristica, con gli incendi tutte le piante della flora isolana germogliano, entro brevissimo tempo, sulla vecchia radice. Il guastaccetta nasce invece dai semi che si erano sotterrati e la sua apparizione sul luogo dell'incendio avviene dopo un tempo di dodici - quindici mesi."

In dialetto ponzese i uastaccètte vengono chiamati anche vastaccètte.


Uastaccètte alla chiesetta della Civita






Al Bagno Vecchio




In lontananza i Faraglioni della Madonna


A Chiaia di Luna


In lontananza Capobianco

(Foto di Annalisa Sogliuzzo, aprile 2021)

domenica 11 aprile 2021

Un vecchio proverbio ponzese

 Abbrile a vècchje iardètte u varrile, pò facètte  vòtta - vòtte e jardètte pure a vòtte

(Aprile la vecchia bruciò il barile e poi, necessitando il fuoco, bruciò pure la botte)

Si dice quando la primavera tarda a far sentire il suo tepore e il freddo imperversa. La vecchia per crearsi un ambiente caldo, avendo consumato la sua scorta di legna, fu costretta a bruciare il barile e poi la botte.


(Dal libro di Ernesto Prudente "A Pànje - i proverbi di Ponza")



Isola di Ponza

(Foto di Rossano Di Loreto, aprile 2021)



Il barile



La botte

venerdì 9 aprile 2021

U ciùcce

 U ciùcce, così viene chiamato in dialetto ponzese l'asino. 

Un tempo ogni contadino ne aveva uno che veniva utilizzato per il trasporto di attrezzi e prodotti della campagna sui sentieri impervi dell'isola, soprattutto nelle zone rurali dei Conti e degli Scotti.

Mio nonno Salvatore Conte, contadino i còppe i Cuonte, aveva u ciùcce che soprattutto in periodo di vendemmia portava i cesti colmi d'uva nella cantina. Ricordo che durante una vendemmia giù i Faraglioni mi fu concesso dal nonno di salire sul dorso  del ciùcce. Quanti ricordi!!!

Un animale docile e utilissimo. Credo ne siano rimasti pochissimi.



L'asinello Giovannino con la mamma Ortensia

(Foto di Angela Mazzella)


Asinello ponzese

(Foto di Carlo Ponzi)




Asinello ponzese

(Foto di Rossano Di Loreto)


mercoledì 7 aprile 2021

L'avventura di Capitan Giuseppe e del suo equipaggio nell'Ottocento

fatti risalgono al 1855/56 e tramandati oralmente per cui alcuni particolari possono essersi distorti negli anni e nella memoria.

Il capitano Giuseppe Conte nato all'isola di Ponza nel 1826 aveva una discreta flottiglia di pescherecci che stanziavano principalmente tra Ponza, isole della Maddalena e Carloforte, in quei tempi Regno di Sardegna. Giuseppe con le sue barche fu obbligato a seguire le navi del Regno trasportanti le truppe al comando di La Marmora, i ponzesi trasportavano le salmerie e dovevano garantire con la pesca il pranzo ai soldati . Giuseppe con il suo Burchiello non partecipava direttamente alla pesca la coordinava e poi organizzava il trasporto agli accampamenti. Questa funzione lo teneva spesso lontano dalla piccola flottiglia di pescherecci. Un giorno mentre tra le truppe infuriava il colera, per evitare il contagio si allontanarono dalle navi del Regno, ma purtroppo furono assaliti dai turchi e fatti prigionieri. Il Burchiello fu fatto tirare in secco sulla spiaggia di una piccola isola dell'Egeo e l'equipaggio ponzese tratto in prigione sotto la custodia di un turco di lignaggio e di pochi soldati. L'isola era lontana da qualsiasi costa dell'Impero Ottomano per cui con il passare dei mesi furono dimenticati dal potere centrale. Dopo un paio di anni il capo dei carcerieri si ammalò di una grave infezione agli occhi che si iniettarono di sangue togliendogli quasi totalmente la vista. Capitan Giuseppe pensò di sfruttare la situazione, anche perché la guarnigione era molto misera, per cui andò dal Cadì offrendogli un medicamento di sua conoscenza e se fosse riuscito a guarirlo del suo male avrebbe ottenuto la liberazione. Il carceriere accettò ed esaudì la richiesta circa la fornitura di una grossa pentola e di alcuni chili di peperoncini piccanti ma di quelli forti. Riuniti i suoi marinai fece raccogliere dell'erba corallina, triturarono i peperoncini , riempirono la pentola delle loro urine. A questa unirono i peperoncini e l'erba corallina misero tutto al fuoco per molte ore finché l'intruglio si ridusse ad una poltiglia nauseabonda. La fecero raffreddare, la posero in un vasetto ed andarono dal loro carceriere, lo invitarono a spalmare sugli occhi l'unguento. Giuseppe sperava che il Cadì divenuto cieco completamente per effetto dell'intruglio non sarebbe stato più in grado di sorvegliare la spiaggia e quindi avrebbero potuto sopraffare i pochi carcerieri e fuggire. Il Cadì spalmò sugli occhi aperti l'intruglio e subito dopo proruppe in grida laceranti dando l'allarme gridando che lo avevano accecato, si tuffò in una vasca d'acqua cercando di togliersi l'impiastro dagli occhi. Dopo lunghi tentativi puliti per bene gli occhi le grida di dolore e allarme si tramutarono in grida di gioia e lode a Maometto. Gli occhi non avevano più traccia di sangue e lui ci vedeva benissimo. Mantenne la promessa fatta si recò dal Pascià ed ottenne la liberazioni di capitan Giuseppe e del suo equipaggio. Fece calafatare il Burchiello e prima di lasciarli partire regalò a Giuseppe un grandissimo scialle in seta marrone ed oro con una lunga frangia. Quello scialle esiste ancora ed è molto delicato, avrebbe bisogno di un restauro.




Imbarcazioni nel porto di Ponza

(Archivio fotografico di Giovanni Pacifico)


La licenza per il comando di barche da pesca rilasciata a Giuseppe Conte nato a Ponza il 6 settembre 1826. E' stata rilasciata dal Ministero della Marina il 31 marzo 1865 per andare in alto mare e all'estero, Mediterraneo.


Le isole del Mar Egeo

Inviato da te Ieri alle ore 22


Inviato da Eduard

lunedì 5 aprile 2021

A rusulane

 Il cisto pianta della macchia mediterranea in dialetto ponzese viene chiamato rusulane. Ha i fiori bianchi molto delicati ed è comune nelle isole dell'arcipelago Ponziano.

Giunge una bellissima foto dall'isola di Ponza di questa pianta in fiore scattata da Annalisa Sogliuzzo



A rusulane ( il cisto)

(Foto di Annalisa Sogliuzzo, marzo 2021)

sabato 3 aprile 2021

BUONA PASQUA!!!

 La pandemia ancora non ci dà tregua ma noi dobbiamo guardare avanti, cercare di pensare che tutto questo presto finirà. 

Buona Pasqua!!!



Isola di Ponza, zona Parata, in lontananza i Faraglioni del Calzone Muto

(Estate 2020)

venerdì 2 aprile 2021

Un proverbio ponzese inerente ad una tradizione pasquale

 Glòrje sunamme e casatièlle mangiamme

(Mentre la campana suona a Gloria si mangia il casatièllo)

Il casatiello è il caratteristico dolce pasquale ponzese. Veniva preparato durante i giorni di Passione. Giorni in cui era proibito mangiarlo. Per poterlo fare si aspettavano i rintocchi delle campane che annunciavano la Risurrezione.

(Dal libro di Ernesto Prudente "Ancora proverbi di Ponza")



Le campane della chiesa dell'isola di Ponza



Casatièllo ponzese



Casatièlle appena sfornati presso Pizzeria Nautilus di D'Atri, isola di Ponza